29.1.16

Partecipare ad una classe di Taijiquan vuol dire fare una pratica "spirituale"?

Partecipare ad una classe di Taijiquan vuol dire fare una pratica "spirituale"?

A qualcuno non piacerà, eppure la risposta è NO.

E questo, in primo luogo, è perché , nonostante ne siano possibili e auspicabili delle letture in tal senso, il Taijiquan NON è una pratica "spirituale".

E' un'arte marziale.

Non è Qigong o meditazione, e farlo passare per tale, seppur in buona fede, è una frode,

Detto questo, va ricordato che la formula della classe, specie se numerosa, porta alla creazione di alcune tipiche dinamiche di gruppo, come l'abbassamento del livello di presenza individuale e l'armonizzazione al ribasso di quello energetico, entrambi fattori decisamente poco compatibili con una pratica che si voglia realmente "spirituale".


Eppure, per tantissimi praticanti, tra cui chi scrive, il Taijiquan viene percepito e vissuto ANCHE
in una dimensione "spirituale", specialmente quando si voglia affrontarlo seriamente e senza sconti.

Ma questo non può avvenire se non attraverso lunghe e possibilmente estenuanti sessioni di pratica individuale: fuori dal gruppo, soli con quel che si è riusciti ad apprendere, siamo costretti a scavare in profondità e senza la possibilità di nascondersi dietro gli altri o di seguirne la scia emotiva.

E questo è l'inizio di ogni pratica veramente "spirituale"...

4.1.16

Batti e ribatti

C'è una certa rude fierezza nel percorrere ogni giorno chilometri avanti e indietro, ripetendo fino alla nausea lo stesso movimento, nell'indurire gradualmente il corpo sbattendolo contro alberi e muri finchè non diviene quasi insensibile... mentre dentro, invece, un altro mondo a poco a poco si schiude, e figure, atteggiamenti, intenzioni, tutto sfuma e si salda coi moti più profondi del cuore.

La pratica dello xinyiquan è questo, un lavoro indubbiamente duro ma allo stesso tempo fine, che richiama il battere e ribattere dell'antico Fabbro-Sciamano...




1.1.16

Propositi e rotture

L'inizio di un nuovo anno, anziché momento di lieta riflessione sul rinnovarsi ciclico del Tempo, si ritrova ad essere anche quello dello sbandieramento dei buoni propositi o delle più o meno vaghe speranze di veder replicare per l'ennesima volta il già visto, e il già vissuto.
Infatti, aldilà del legittimo desiderio di lasciarsi alle spalle le inevitabili sofferenze, brutture o semplicemente le mancate occasioni vissute nel corso dell'anno appena trascorso, mi sembra che pressoché ovunque si celi, spesso debitamente camuffato, l'anelito al ritorno dell'uguale.
O, meglio, di un certo tipo di uguale, ossia quello dei fantomatici "punti di riferimento" veri o presunti che siano, e che si situano invariabilmente ad un livello piuttosto banale e contingente.
E' assai raro, invece, avvertire un autentico desiderio di uscita dal meccanismo farlocco in cui ci si ritrova ingarbugliati, di rompere il cerchio delle varie illusioni e bisogni indotti, ai quali letteralmente ci si ammanetta, quasi si fosse nell'attesa proprio dello spasimo del dibattersi, del malato gioire dell'essere a catena.
E chi rifiuta il gioco,invece,  per lo più fugge: spesso molte tra le persone migliori finiscono per proiettare in un "altrove" fatto di "energie" e favolose esplorazioni di piani "altri" la forza che dovrebbero invece custodire in vista di un'autentica rottura di livello.
Non è possibile limitarsi a gironzolare per i piani sottili nella pausa pranzo o nei sabati mattina strappati allo shopping per avviare il tanto agognato processo del "cambiamento"...
E' necessario, invece, fare delle scelte. Scelte difficili, faticose e spesso dolorose, ma non è più possibile rimandare, perché le nubi all'orizzonte son sempre più fosche, e il tempo stringe.