11.12.08

Lu

Per comodità ed abitudine siamo soliti tradurre il termine cinese Lu con "forma", con il quale indichiamo delle precise (e spesso standardizzate) sequenze di movimenti, la cui ripetizione indefessa costituisce il nucleo essenziale della pratica nella stragrande maggioranza degli stili di Gong fu, con rare e ben circostanziate eccezioni. Ma in realtà, così facendo, tendiamo a lasciarci sfuggire la dimensione più profonda del concetto, la quale dovrebbe guidare la pratica personale ben al di là del semplice accumularsi delle ripetizioni. Una traduzione più corretta di Lu suonerebbe all'incirca come l'italiano e il latino "via", o, con maggiore chiarezza, come l'inglese "way" , nella duplice accezione di "strada" e di "modo, metodo". E' sulla prima di queste accezioni, ossia quella del "percorso", che vorrei, tuttavia, concentrarmi: la pratica della "forma" è, in definitiva, una specie di "cammino" da percorrere e, ancor di più, da tracciare nello spazio, ricca di valenze simboliche, oltre che pratiche e funzionali allo sviluppo di determinate qualità fisiche e tecniche. Ciò è massimamente vero nel caso degli stili Nei Jia, le cui "forme" costituiscono, oltre che un preciso esempio di interpretazione del movimento, anche uno di lettura del Cosmo come tale.

La pratica del Taijiquan, ad esempio, è anche una vera e propria "narrazione cosmogonica", che prende mossa dal Non-Manifesto del Wuji (L'immobilità in attesa) e a questo ritorna dopo il suo manifestarsi attraverso il modo d'essere fondamentale delle cose illustrato dal movimento del Taiji. Nello Xinyi quan, invece, è la natura (Xin) dell'animale a rivelarsi attraverso il movimento umano, mentre nel Baguazhang lo è il continuo trasformarsi delle cose le une nelle altre.

La pratica della "forma", quindi, è in una certa misura collegabile alla deambulazione rituale lungo labirinti (come si faceva anche nell' Europa medievale in alternativa al pellegrinaggio o al Passagium in Terrasanta, ma che era nota anche nell'Antichità ed in svariati altri contesti), o alla molteplice varietà delle Danze Sacre universalmente diffuse.
Si tratta però, di un livello di pratica che presuppone parecchie cose, non tutte a buon mercato, quali il raggiungimento di una autentica quiete interiore (tanto nella testa quanto nel cuore, e che non è affatto quella specie di ottenebramento che molti immaginano), ed una confidenza con il gesto tale da renderlo libero da ogni forma intrusiva di controllo cosciente, e così via.
E dire che questo sarebbe il requisito minimo per intraprendere seriamente l'Opera...
Una cosa maggiormente comprensibile, sperimentabile anche a livelli relativamente bassi di pratica (e di impegno), è considerare l'idea della "strada" da percorrere come se si riferisse ad una vera e propria strada, non dico come quella che affrontiamo tutti i giorni , ma come quella dei cosiddetti "percorsi dell'anima" , capaci di generare quella particolare sensazione che ognuno di noi, a meno di non essere del tutto morto interiormente, percepisce attraversando luoghi amati o comunque legati a ricordi importanti. Intendo quella sensazione di meraviglia che sovviene notando, lungo il percorso fatto decine e decine di volte, un particolare, uno scorcio mai visto prima, che ci rivela di punto in bianco tutta una nuova serie di significati. Qualcosa di abbastanza simile ad un eureka, per certi versi.

Nella pratica delle "forme", penso proprio che valga lo stesso: l'attenzione ci cade su particolari totalmente ignorati fino a quel momento, e che ci permettono di comprendere le cose ad un livello superiore. In un certo senso, il perchè della "forma" è contenuto proprio nel suo come: dato che si tratta di gesti oggettivamente perfetti (per il fine cui si rivolgono), è la nostra capacità di ascolto a rendere possibile un apprendimento autentico, vivo ed assolutamente non meccanico. Capacità di ascolto che nasce dal lasciar fare al corpo, alle leggi fisiche e biomeccaniche che ne hanno determinato la struttura, e limitarsi ad osservare le reazioni corrette (o il perchè di quelle non corrette) di quello a queste, senza intervenire volontariamente. Il che è tutt'altro che facile, data l'inguaribile tendenza della mente umana a crearsi delle aspettative!
Ed è propriamente a questo che servono le numerose "passeggiate" lungo il percorso/forma, sempre che siano eseguite, come abbiamo detto, con consapevolezza ricettiva ed attenta, e non come un meccanico e monotono processo di ripetizione a memoria, dal quale è possibile ricavare, al massimo e se va bene, una qualche eccellenza formale, ma nessun valore trasformativo, nè applicativo.

2.11.08

I Sei Poteri dello Xin Yi Liu He Quan

  1. La Vita del Drago
  2. Il Collo della Tigre
  3. L'Artiglio dell'Aquila
  4. Le Spalle dell'Orso
  5. Le Gambe del Gallo
  6. La Voce del Tuono

27.9.08

Uno stile o tanti stili?

Uno degli argomenti più dibattuti tra i cultori di arti marziali è se convenga limitarsi a studiare approfonditamente un solo
stile, o se sia, invece, più utile cercare di apprenderne diversi.Personalmente, ritengo che lo studio di più sistemi non sia
soltanto da preferire, ma addirittura da incoraggiare,anche se con le dovute precisazioni.Innanzitutto, studiare più stili non significa certo fare, come spesso accade, incetta di forme od elementi tecnici di
svariata provenienza,affastellati gli uni agli altri ma privi di un filo conduttore ben definito e, di conseguenza,
difficilmente assimilabili da chi pratica.Questo , purtroppo, è un modo di fare tristemente diffuso, specialmente in Italia,
dove alcune delle scuole numericamente più importanti propongono allo studente programmi basati su una sequenza più o meno
arbitraria di forme (taolu) prese da vari stili,i quali non sempre condividono concetti similari( e quindi mutuabili), ma
paiono anzi scelti proprio in base alla loro eterogeneità.Al massimo, questi stili tendono a provenire dalla stessa area
geografica...Inutile dire che un approccio metodologico di questo tipo non può portare tanto lontano, se non dal punto di vista dei veri e
propri deliri di presunta onniscenza marziale da parte di buona parte degli adepti di queste organizzazioni, delle quali
però, è doveroso dirlo, non rappresentano certo gli elementi migliori. Con questo, comunque, non intendo dire che l'idea di fondo sia sbagliata, è sbagliato il non volersi appoggiare ad una base
ben definita, sulla quale innestare le conoscenze ulteriori.Per praticare più stili, è necessario conoscerne seriamente uno o due, conoscerli al punto di averne compreso i meccanismi
intrinseci e, soprattutto, essere riusciti a tradurli, più o meno bene, nella pratica effettiva. Bisogna quindi aver compreso
elementi fondamentali come, ad esempio, il modo di sviluppare e di trasferire la forza,l'uso ottimale del corpo,
l'atteggiamento tattico dello stile etc,e poi, coscienziosamente, aggiungere le caratteristiche degli altri sistemi.
Nel caso specifico degli stili Interni (Neijiaquan), di cui mi occupo principalmente, la cosa non è impossibile, e ,anzi, rappresenta quasi una prassi universalmente accettata: tutti i Maestri "top level" di Neijia, come Guo Ming (George) Xu o Qian Zhao Hong, tanto per citarne un paio a caso, sono esperti almeno nei tre metodi principali (Taijiquan,Xingyiquan e Bagua), e spesso ne conoscono più che discretamente anche altri...
Questo è facilitato (ma solo fino ad un certo punto) dal fatto che tutti questi sistemi, ed i loro affini meno diffusi come il Liuhebafaquan o il Tongbeiquan, si basano su un concetto del corpo e dei suoi rapporti con mente ed energia molto simile, sviluppato ed applicato, però, in maniera leggermente differente, in vista di specifiche strategie di combattimento. Quindi, il passaggio, o, meglio, l'integrazione tra di essi non presenta particolari problemi, sempre che almeno uno di questi stili sia stato sufficientemente "digerito" attraverso una pratica ed uno studio adeguati. Solo allora, ripeto, lo studiare un altro metodo diventa proficuo e quasi doveroso, in vista di una migliore comprensione dell'Arte nella sua globalità.

29.7.08

Il valore aggiunto del Tai Ji Quan

Nonostante la sua ormai planetaria diffusione, il Tai Ji Quan (Tai Chi Chuan) è ancora visto dai più come una "semplice" ginnastica psicofisica, buona per ridurre lo stress e fare un po'di moto non faticoso ma ancora sufficientemente esotico da risultare un valido argomento di discussione durante la pausa caffè.
Il peso maggiore di questo fraintendimento, però, non ricade certo su chi insegna e diffonde il TJQ, visto e considerato che tra i maggiori responsabili della situazione ci sono proprio quei "maestri" che pur di sdoganarlo agli occhi del grande pubblico (ed infilarlo nel marasma new-age se non addirittura nel magico e lucrativo mondo del fitness) sono arrivati anche a negarne il rapporto con le Arti Marziali, magari limitandosi a relegarlo in un ben nebuloso passato.
O,peggio ancora, ci sono quelli che,magari praticando altri stili di Gongfu, hanno aggiunto il TJQ al loro pacchetto didattico come disciplina "morbida", specialmente consigliata alle donne o agli anziani...Mi chiedo se questi signori abbiano mai incontrato un autentico Maestro di TJQ, e,soprattutto, se ci abbiano mai studiato...
Polemiche a parte, a rimetterci sono invece gli allievi, ai quali viene spesso negata la possibilità di comprendere il TJQ, ridotto ad una pratica sterile e demotivante, di cui ci si finisce per stancare presto, oppure si sfuma nel misticheggiante, perdendo completamente di vista il valore eminentemente pratico della disciplina stessa.
Il TJQ è essenzialmente un'Arte, vale a dire un insieme di abilità ottenute attraverso l'applicazione e l'esercizio (in cinese si dice Gong Fu), ed è anche Marziale, ossia rientra in una particolarissima sfera dell'umano,sia in senso pratico che ideologico e psicologico.
Ed è dedicata già nel nome ad uno dei concetti più importanti del pensiero cinese (ma che si ritrova anche in altri contesti), il Tai Ji.
E qui, la discussione potrebbe dilatarsi a dismisura...


continua

17.7.08

Gongfu


Parlare di Gongfu ( o Kung Fu, se preferite), è molto facile, dato che lo fanno praticamente tutti, almeno per quanto concerne le disquisizioni astratte o la trattazione più o meno partigiana di questo o quell'altro stile. E' molto più difficile parlare del "proprio" Gongfu, vale a dire di quanto si è compreso ed ottenuto attraverso la pratica individuale, ed ancor più lo è il farlo con la dovuta obiettività e franchezza. Gran parte dei praticanti, e ne ho conosciuti parecchi, tende ad evadere, con maggiore o minore abilità, la questione,preferendo di gran lunga dilungarsi in disquisizioni a volte bizantine sulla teoria degli stili o evocando le gesta di Maestri passati o presenti, come se la cosa potesse in qualche modo influenzare il loro processo di crescita. Processo che va (o dovrebbe andare...) avanti praticamente d'ufficio, quasi che la pura e semplice appartenenza ad una Tradizione fosse garanzia di chissà quali prospettive evolutive...E queste, manco a dirlo, sono le stesse persone dalle quali mi è capitato di sentirmi dire, ogni qualvolta mi saltasse in mente di parlare del Gongfu dall'unico punto di vista secondo cui avrei potuto parlarne con cognizione di causa (il mio),che erano solo opinioni personali, e quindi ininfluenti...
Polemiche a parte, il problema è semplicemente questo: visto che Gongfu indica un'abilità strettamente personale, ottenuta attraverso lo studio e l'applicazione in una o più Arti (quali che siano) e formatasi nel tempo, e non è quindi concetto riferibile esclusivamente alle Arti Marziali cinesi, (peraltro indicate più correttamente col termine Wushu),non è forse fuori luogo l'evitare così tenacemente di considerare la natura fondamentalmente "artistica" e quindi "espressiva"del Gongfu?Ovviamente, mi par perfino superfluo ribadirlo, è indispensabile un approccio assolutamente "scientifico" allo studio delle Arti Marziali, che deve essere oggettivo e, per quanto possibile, filologicamente corretto,ma questo non deve diventare una forma di formalismo sterile o, peggio ancora, di feticismo, se si vogliono, da un lato, garantire la crescita del praticante e ,dall'altro, mantenere viva l'Arte. E' necessario che ogni serio appassionato di Arti Marziali riesca a trovare il modo di trasformarsi attraverso lo o gli stili che pratica, diventando così un vero e proprio Artista Marziale. Ho conosciuto vari Maestri di uno stesso stile rendere la propria pratica assolutamente peculiare rispetto a quella dei "colleghi", senza però tradire lo spirito del metodo, arricchendolo anzi della propria esperienza e ricerca. Credo che uno dei motivi principali per i quali qui in Italia (ma non solo), siano così rari i veri e propri Artisti Marziali sia proprio questo, l'incapacità di vivificare un'Arte che viene appresa in maniera meccanica e, il più delle volte, sterile. Con questo, ad ogni modo,non intendo assolutamente giustificare od incoraggiare gli abusi di quanti "inventano" nuovi metodi scopiazzando qua e là, perchè la fedeltà alla Tradizione ( e le Arti Marziali di ogni parte del mondo sono parte della Tradizione) è fondamentale, sia dal punto di vista pratico( se le cose sono disposte in un certo modo, c'è sempre un perchè) sia da quello ideologico.Ma si tratta di una fedeltà che non deve essere mai cieca, deve anzi avere occhi ed orecchie ben aperte ed un cuore limpido, se si vuole che l'Arte Marziale autentica non si estingua o degeneri in sport o in pratica salutistica.