23.11.19

Fissarsi troppo sull'interno porta a una sorta di autismo stagnante, mentre farlo sull'esterno rende invece vacui e inconsistenti.

Solo annullandoli entrambi nel Centro si può giungere a quell'Assenza che diviene vera Presenza...
 

6.11.19

Un vero insegnante di Gongfu non dovrebbe mai presentarsi troppo riposato ai propri allievi.

Sono convinto che un vero insegnante di Gongfu non dovrebbe mai presentarsi troppo riposato ai propri allievi.

E questo vale ancor di più per chi lo fa da professionista: l'allievo che arriva al corso sfinito dal lavoro o dalle incombenze familiari non ha affatto bisogno di trovarsi davanti un bellimbusto fresco come una rosa che, tutto sorrisetti e serenità, si metta magari a pontificar di "duro lavoro" o a rimarcargli una presunta mancanza d'impegno.

Ha bisogno di rispetto, se mai,visto che al corso c'è comunque venuto, ma soprattutto ha bisogno di trovare nel suo insegnante qualcuno in grado di dimostrargli concretamente come ci si possa applicare a questo "duro lavoro" nonostante la stanchezza o lo scoramento, e anzi proprio attraverso il superamento di questi, perché, con buona pace del marketing, il Gongfu non è una forma di "evasione", ma un autentico percorso di "trasformazione", per giunta scomodo e niente affatto indolore.

Per questo credo che un insegnante non possa mai farsi sconti, e anzi debba raddoppiare gli sforzi nella propria pratica personale, anche a costo di arrivarci lui sfinito a lezione...

E più di ogni altra cosa non deve mai dimenticare come l'allievo abbia bisogno sì dell'esperienza e della qualità dell'insegnante, ma anche del suo esempio vivo e presente di essere umano che, seppur su un altro piano, deve fare i conti con le medesime difficoltà e problemi, e continua ad affrontarli.

In fondo, non è questo l'unico vero insegnamento?



14.10.19

Non cedere al sonno...

Il fatto di essere sulla strada giusta non significa affatto essere vicini alla meta: al contrario, è proprio lì che si celano i trabocchetti più insidiosi, e dove è più facile sviarsi od essere sviati.

E dove è necessario vigilare con la massima attenzione.

Del resto, anche Omero ci ammonisce, ricordandoci del sonno cui cede Odisseo giunto in vista di Itaca, fornendo ai marinai troppo curiosi l'occasione per aprire l'otre di Eolo e liberare così i venti avversi che li sospingeranno nuovamente lontani.

Chi intraprende la Via corre lo stesso pericolo e, come per Odisseo, il problema non è tanto la curiosità dei compagni (ovvero i fattori contingenti) quanto il fatto di abbassare la guardia cedendo al sonno.

Sonno che sopraggiunge in mille forme, da quella della pasciuta certezza che ormai sia solo una questione di tempo a quella dell'abbandono quasi fideistico nelle mani del pur ottimo maestro che abbiamo finalmente trovato, ma dal quale molti credono sia possibile apprendere per una sorta di osmosi che dovrebbe far passare in cavalleria il lavoro di ricerca personale.

Nulla di più falso, perché un vero Maestro è come il somaro della nota storiella, e per quanto possa aiutarti non può fare il lavoro per te, perché la Trasformazione indotta dalla pratica è solo e soltanto tua.

Ma anche la pratica più costante e diligente può condurti dove vuoi arrivare solo se non cedi al sonno, perché, come diceva il Buddha, se perdi la corretta Attenzione è come se già fossi tra quelli che sono morti...

12.10.19

Non amo molto l'uso bolso e didascalico delle immagini, che finisce per ridicolizzare la realtà irrigidendola in tautologia, ottenendo al massimo di rallentarne per un poco l'inesorabile discesa nell'oblio.

E questo è particolarmente vero per quanto riguarda la pratica interna, che per la natura irripetibile  del suo "momento" (kairòs) , non può essere "fissata" se non al prezzo di gravi mutilazioni nella forma e nella sostanza.

Purtroppo, però, vivendo nostro malgrado in una società incentrata in maniera pressoché esclusiva sull'immagine, a volte ci si trova costretti a scendere a compromessi, foss'anche solo per semplice e prosaica "necessità professionale"e bisogna quindi provare a "fissare" in qualche modo ciò che non potrebbe essere "fissato"...

11.10.19

Tao

Tao, più correttamente Dao, è seguire una musica che non si può sentire, danzando coi capelli sciolti, mentre ogni passo misura il Cosmo e traccia segni di Potenza.
E' tutto qui: non c'è dieta né dottrina, solo un tumulto, una slavina che rimette insieme il Tutto dopo averlo frammentato, un pulsare ritmico che divora e sgrava forme sempre nuove...

4.10.19

Animali strategici e tattici - cenni generali

Hu Xing
Nella pratica dello Xin Yi Liu He Quan, è d'uso comune dividere le figure dei 10 animali in animali "piccoli" e animali "grandi".

E non è difficile accorgersi di come questa distinzione, che non si riferisce affatto alle reali dimensioni dei vari animali (altrimenti sarebbe difficile capire come mai un cavallo possa esser definito piccolo e il gallo invece grande), sia in realtà del tutto sovrapponibile a quella che è possibile tracciare tra principi strategici e soluzioni tattiche.

Gli animali "grandi", ossia il Drago, la Tigre, l'Aquila, l'Orso e il Gallo costituiscono ben cinque dei cosiddetti "Sei Poteri" dello XYLHQ, e si riferiscono in prima istanza a particolari principi biomeccanici e posturali.  

In un certo senso, quindi, rappresentano una sorta di momento di "pianificazione strategica" dello stile, in cui ci si concentra sulla costruzione di un determinato tipo di corpo e del jin conseguente attraverso l'assunzione di atteggiamenti e schemi motori inveranti i principi di base ovvero:

torsione (drago), 

flesso estensione (tigre)

leggerezza\espansione (aquila) 

pesantezza\contrazione (orso)

equilibrio\rapporto col terreno (gallo) .

Per dirla in cinese, quindi, costituiscono lo shenfa (metodi del corpo) dello stile

Gli animali "piccoli", dal canto loro, indicano delle soluzioni di natura essenzialmente tattica,  e si riferiscono in primo luogo agli spostamenti e quindi:

la rapidità di manovra (falco), 

la capacità di variare repentinamente di livello (rondine) , 

i movimenti sinuosi e adesivi (serpente),

l'avanzare travolgente ( cavallo)

l'agilità imprevedibile (scimmia)


In altre parole, rappresentano i possibili modi di utilizzo (yungfa) delle qualità apprese e costruite attraverso la pratica degli animali "grandi" e le completano allo stesso modo in cui trama e ordito concorrono alla formazione di un tessuto.

E non sono separabili, a meno di non compromettere la comprensione e la fruibilità dello stile: se vuol vincere, ogni buon generale deve assolutamente eccellere sia nella pianificazione strategica che  precede (e segue) la battaglia, sia nella capacità di applicare soluzioni tattiche in base a quanto richiesto di volta in volta dalla situazione contingente.



20.9.19

Il palo e l'albero


A volte, una traduzione troppo letterale dei termini tecnici delle Arti Marziali può rivelarsi riduttiva e, nei casi limite, persino fuorviante. Questo avviene qualora la traduzione si riveli incapace di rendere fino in fondo lo spirito corretto col quale ci si deve accostare all'esercizio o al principio indicati, rendendo vani, o comunque assai meno proficui, mesi  se non anni di pratica.

Lo Zhan Zhuang è, senza dubbio, uno di questi casi limite.

Metodica di Qigong pressoché universale nei vari stili interni, di alcuni rappresenta il cuore stesso della pratica (Yiquan, alcune scuole di Xingyiquan), e consiste, semplificando non poco, nel mantenere per un determinato tempo alcune posizioni statiche, in primo luogo in piedi ma anche seduti o sdraiati .

Volendolo rendere in italiano, Zhan Zhuang dovrebbe suonare più o meno come "star piantati come un palo", ma purtroppo nei fatti finisce invece ad assomigliare piuttosto spesso all'idea dello "starsene impalati".

Questo avviene perché anche un metodo così sofisticato  per affinare la "presenza"(Shi) interna e scoprire il proprio corpo con le sue numerose interrelazioni fisiche ed energetiche, rischia di diventare inutile se non addirittura di trasformarsi in una vera e propria tortura, in particolar modo per i principianti, qualora ci si accosti all'esercizio con l'atteggiamento yi sbagliato, ossia in modo arido, meccanico e quantitativo, limitandosi fatalmente al suo aspetto superficiale e dunque "esterno".

Commettere errori di questo tipo è molto facile, specialmente all'inizio, quando la consapevolezza di cosa sia realmente la pratica interna porta ancora a cercare altrove quello che abbiamo proprio sotto il naso. Ma questo, di solito, è un problema che tende a sparire da solo, perseverando e ricevendo al momento opportuno le giuste indicazioni.

Ma queste indicazioni, che dovrebbero riguardare più l'atteggiamento psicofisico globale (ossia i rapporti corretti tra yi -qi-li), troppe volte vengono sostituite da generiche esortazioni a una  perseveranza vagamente asinina oppure da pretese di adeguamento a geometrie più o meno corrette ma rigorosamente codificate cui adeguarsi in maniera passiva.

Immagino non sia necessario ribadire come il rispetto delle corrette geometrie sia indubbiamente fondamentale nella fase di comprensione biomeccanica, ma allo stesso tempo è bene ricordare come tutto ciò non debba mai diventare una gabbia in cui soffocare la naturale crescita della percezione e della consapevolezza del praticante: in fondo, continua a sembrarmi assai più saggio guardare all'albero che cresce sempre in funzione della luce a cui tende anziché all'inerte palo...


15.9.19

Il Tai Ji Quan e la natura dell'acqua



Si sente dire che un'esecuzione corretta delle forme del Tai Ji Quan dovrebbe ricordare, agli occhi di chi osserva come al corpo di chi pratica, l'immagine dell'acqua e dei suoi molteplici aspetti.

Così, il fluire lento e ininterrotto da una figura (shi) all'altra potrebbe suggerire il placido serpeggiare delle anse d'un grande fiume nell'ultimo tratto di pianura, oppure rimandare all'inesauribile capacità plastica mostrata dall'acqua nell'assumere la forma dei più  svariati recipienti.

Oppure ancora, la sensazione di benessere diffuso che segue alla pratica intensa potrebbe suscitare il vago ricordo della frescura portata dall'esaurirsi d'un acquazzone estivo.

Tuttavia, questi ed altri consimili sono solo aspetti estrinseci, quasi triviali o comunque "visibili" della natura dell'acqua, la quale, invece, nel suo rapporto con il Tai Ji Quan tende a  presentarne ben altri, legati alla sua componente più oscura e pericolosa, quella abissale e "nascosta".

Non a caso, infatti, uno degli Otto Jin fondamentali è Ji (premere) , associato al trigramma Kan del Libro dei Mutamenti ( Yijing) il quale, appunto, si riferisce proprio all'acqua.

Ma di che natura è, precisamente, l'acqua che viene indicata da Kan? Kan viene definito l'"abissale", con riferimento non tanto all'insondabilità, quanto alla profondità, non disgiunta da una certa nozione di pericolo imminente ma vago e dissimulato da un'apparenza tranquilla e rassicurante.

 Cosa che, in effetti, vien rivelata dalla stessa conformazione del trigramma: Kan è caratterizzato da una linea intera Yang tra due linee spezzate Yin, quasi a ricordare l'enorme potenza che l'acqua cela dietro la sua apparente debolezza.

Ed è proprio questo l'aspetto della natura dell'acqua a poter essere collegato più correttamente al Tai Ji Quan, tanto che è possibile incontrarlo a tutti i livelli in cui lo si voglia considerare.

 Ad un livello estremamente generale, per esempio, si rivela nell'apparente, inoffensiva gentilezza dei movimenti, che ad un profano possono sembrare perfino estranei a ciò che comunemente viene definito "combattimento", mentre la reale potenza del Tai Ji Quan si rivela solo al momento del contatto con l'avversario, come pure la razionale efficacia (e spietatezza) delle sue applicazioni.

Anche il fatto di affidarsi alla Forza Interna (nei jin) piuttosto che a quella bruta, si riferisce allo yang nello yin, col corpo "morbido" fuori ma "forte" dentro, il che richiama immediatamente un'altra delle classiche immagini collegate al Tai Ji Quan, ovvero quella della sbarra di ferro avvolta nel cotone.

In definitiva, si potrebbe dire che il Tai Ji Quan come l'acqua riflette, dissimula e si adatta, mutando il proprio stato ma non la sua natura profonda e "abissale"...

13.9.19

Perché il Tai Ji Quan si pratica "lentamente"?

Perché il Tai Ji Quan si pratica "lentamente"?

Agli occhi degli addetti ai lavori, questa potrebbe senz'altro sembrare una domanda oziosa ma, data la frequenza con cui me la sento rivolgere
, credo sia opportuno spendere qualche parola al riguardo.

Innanzitutto, v'è da dire che si tratta di un fraintendimento, perché il Tai Ji Quan NON si pratica solo "lentamente",se non in particolari momenti del percorso di crescita del praticante e sempre per delle ragioni didattiche ben precise.

Infatti, essendo il Tai Ji Quan per definizione una disciplina basata sul mantenimento dinamico dell'equilibrio degli opposti (Yin\Yang,morbido\duro,lento\veloce,contrazione\espansione etc), quando ci si ritrova ad enfatizzare uno di questi  rispetto all'altro lo si fa unicamente in maniera estemporanea e strumentale al fine di comprenderlo meglio nella sua essenza(isolandolo) oppure per coglierne il "mutamento" nel suo opposto.

Il che vale a dire, in termini semplici, che la lentezza viene appunto isolata per comprendere il suo diventare rapidità, e viceversa. E questo non dovrebbe stupire, trattandosi di un tipo di didattica esperienziale e non nozionistica, il cui fine è la comprensione istintiva, non mediata dei principi trattati che divengono così "vivi" nella pratica.

Tuttavia, ciò non toglie che molti insegnanti in aperta malafede calchino volutamente la mano sull'aspetto della lentezza per mascherare le proprie manchevolezze in altri campi, ma questa è un'altra storia...

10.9.19





A breve ricominceranno le mie lezioni di Tai Ji Quan stile Chen, Xinyi dei 10 animali, Nei Gong e Qi Gong presso le sedi di Movimento E Fantasia.

Astenersi perditempo e creduloni ;)