14.6.11

L' Arte che vorrei

Sono sempre stato un isolato, spesso su posizioni estreme o quantomeno impopolari, per non parlare di tutte le volte in cui mi son dedicato a vere e proprie cause perse, e mi accorgo che, con gli anni, non tendo a migliorare.
Tanto che, dopo anni di acquiescenza (obtorto collo) al comune modo di praticare e insegnare le Arti Interne, mi son deciso a rimettere in gioco tutto, rimescolando le carte in cerca di un gioco (didattico) migliore.
In realtà, non ho mai smesso di pensare determinate cose in un determinato modo, però ero sinceramente convinto che aderire ad una metodica di insegnamento grosso modo sovrapponibile alle aspettative della "clientela" fosse la soluzione migliore, sia per far avvicinare un numero maggiore di persone sia per rendersi più comprensibili. E questo, alla prova dei fatti, è indubitabile.  C'è un però, tuttavia. Un però che forse non dipende dalla ragione nel suo aspetto più utilitaristico, e forse nemmeno al buonsenso, ma che per me riveste un'importanza capitale: non mi piace. Non mi piace che una classe si riduca ad un gregge scimmiottante un insegnante più o meno in buona fede, ma nemmeno un'accozzaglia di energumeni sudati che si spintonano senza riflettere. Non mi piace la presunzione di ortodossia elativa a un metodo o ad una scuola, ma nemmeno il tuttofabrodismo e l'accoglienza (qualunque cosa voglia dire) delle istanze più strampalate partorite da autentici soggetti da manicomio.
Non mi piace, infine, l'arroganza dei sedicenti apostoli dell' Unico Vero Marziale, quali che ne siano le declinazioni, come pure son fumo nei miei occhi i falsi modesti, spesso epigoni vigliacchi dei suddetti apostoli.
Quello che vorrei, con tutto il cuore, è svincolare la pratica dai paletti autoimposti, dal mercantilismo becero e dalla mancanza di spontaneità, che non deve essere affatto caos ma pura e semplice esperienza vissuta insieme. E non certo in modo irenico, con la solita melensaggine new age: vorrei dialettica, confronto pur senza distogliere nemmeno per un istante l'occhio dai tesori della Tradizione, che deve essere costantemente vivificata dalla pratica delle persone che vi attingono, e non una sorta di imbalsamata reliquia da guardare e non toccare.