17.4.14

Simbolismo del saluto

Chi frequenta le mie lezioni sa bene quanto poco spazio sia lasciato al formalismo, e come una delle pochissime eccezioni sia quella del saluto tradizionale.

Il saluto non è soltanto questione di cortesia, infatti, può essere definito a buon titolo un esempio di Shou Yin (lett. "segno della mano", affine al Mudra indiano) e quindi cela nella sua gestualità elementare un simbolismo semplice ma allo stesso tempo profondo.

Simbolismo che, del resto, è quello che riassume l'essenza del Gong Fu cinese, ossia l'attenzione rivolta alla Polarità Yin/Yang.

Ma sono possibili altre chiavi di lettura, qualora si voglia tener conto dell'evoluzione storica del gesto.

In principio, il saluto significava "pace" ed era invertito rispetto all'uso attuale, con la mano destra, quindi, ad avvolgere il pugno sinistro.

Così voleva l'etichetta di corte, specie tra filosofi che si accingevano a disputare un argomento.

Tra guerrieri, invece, era la mano sinistra ad avvolgere il pugno destro (dove solitamente si impugna l'arma), come nell'uso abituale.

L'usanza in cui la sinistra si limita a formare un palmo anzichè coprire l'altra risale invece ai tempi delle lotte dei legittimisti Ming contro la dinastia mancese dei Qing (1644-1911) :

la palma rappresentava la luna yue, mentre il pugno destro il sole ri.

I quali, combinati, danno origine alla parola ming, ossia "luce, illuminazione" ma anche il nome della deposta dinastia.

Però la spiegazione più ovvia e contingente è quella che ammonisce, per l'ennesima volta, di bilanciare  sempre gang (duro) e rou (morbido) , soprattutto nella pratica individuale, che non deve mai pendere troppo in un senso o nell'altro.

Ma anche negli aspetti più prosaici del combattimento: non a caso, quasi strizzandoci l'occhio ci rammenta di colpire sempre il duro col morbido, e il morbido col duro...



Perchè scrivo poco di tecnica

Mi è stato fatto da più parti notare come in questo blog sia finito per trattare sempre più raramente di tecnica, dedicandomi piuttosto a tematiche intime e personali.

In realtà, non è che mi manchino gli argomenti per discettar di tecnica, anzi.

Ci sono parecchi articoli pronti essere pubblicati, però esito a trarli fuori dal limbo perchè continuano a sembrarmi incompleti, parziali, di sicuro non definitivi.

Infatti troppe volte, praticando, mi è capitato di dover rivedere di colpo l'interpretazione di un movimento di cui ero convinto d'aver un'idea e una padronanza tutt'altro che vaghe, e ricominciare, quindi, tutto da capo.

O, meglio, più che da capo, da un altro punto di vista.

Ma questo, per quanto assai stimolante sul piano personale, si rivela quasi traumatico qualora si vadano a rileggere le cose scritte in precedenza.

Cose che paiono somigliare invariabilmente ad un pensierino delle elementari, ma la cui ingenuità non è in alcun modo scusabile, e spesso quasi irritante.

E io, sia per mania di perfezionismo, o per inveterata antipatia verso la parzialità, di natura trovo poco onesto il dare a intendere, magari con l'aria di chi la sa lunga, d'aver afferrato qualcosa che invece  continua a sfuggirmi di mano.

Il che vale ancor di più adesso che sono in una fase "fluida", in cui la tecnica prende, perde o semplicemente muta di significato in continuazione, a seconda del momento, o, meglio, del "mio" momento...

A questo s'aggiunge il fatto che l' aver dato una versione più o meno coerente d'una visione giocoforza limitata e provvisoria  continua a non parermi quasi mai  una ragione sufficientemente buona per rompere il silenzio.


Tutt'al più, volendolo fare, preferisco di gran lunga tentar di dare un'idea di come sia possibile servirsi in maniera proficua di questo o di quel movimento, come nel caso dei post su Yubeishi.

Però, anche in quest'ultimo caso, già mi troverei nella posizione di rettificare o integrare qualcosa...

Forse, sarebbe più saggio ammettere  che anche della tecnica "non si da scienza",e cercare piuttosto di mettere in luce l'effetto che essa, tramite la pratica, esercita su di noi: la condivisione di esperienze, risultati oppure stati d'animo a volte può essere di immenso aiuto per chi, lungo un simile cammino, senta la necessità di conferme o, perchè no, di un po' di compagnia.

15.4.14

Sempre dritti

Ci son dei momenti in cui si è quasi costretti a far due conti, e,se ci si volge indietro a guardare la strada percorsa, non è detto che la vista sia sempre indolore.

L'occhio cade infatti con malizia solo sui pantani in cui ci si è dibattuti sempre troppo a lungo ,mentre pare evitare quasi apposta le sparute vette dei risultati ottenuti.

Ma più d'ogni altra cosa, indugia sul serpeggiare del sentiero, sul suo snodarsi spesso in mezzo alla nebbia più fitta, o sulle infinite deviazioni a cui ci ha condannato e ci condanna.

E' facile smarrirsi, anche seguendolo, perchè spesso non si fa che calcare le orme degli errori di chi l'ha tracciato,e non sempre è possibile rendersene conto fino all'ultimo istante.

Senza contare che tornare sui propri passi fa male.

Fa male per la rabbia, fa male per la percezione della propria stolida dabbenaggine, fa male per il tempo buttato, specie se capita più volte.

Poi,finalmente, giunge il momento in cui di sentieri praticabili non ce ne sono più, e si può solo andare avanti.

Dritti davanti a sè, un passo dopo l'altro, costi quel che costi.



14.4.14

...e fu proprio così, che m'accorsi d'aver appreso...

Uno dei grandi misteri della pratica è il fatto di scoprirsi "diversi" da un momento all'altro, e quindi in grado di comprendere, sentire o fare cose che fino ad un istante prima continuavano a sgusciarci malignamente via.

Come se un meccanismo occultato da qualche parte dentro di noi si fosse deciso improvvisamente a scattare, ci troviamo "cambiati", e non è raro che ci capiti di occhiare quasi con scherno al nostro essere così com'era "prima".

Pare infatti quasi pesante, il senso di estraneità di fronte ai pezzi della crisalide appena frantumata, nell'istante prima di gettarli con un'alzata di spalle, e poi l'oblio.

 Eppure, non di rado capita di ritrovarseli davanti, quei frammenti, quando non addirittura di incespicare o ferirsi a causa loro e del troppo oblio, perchè nulla va tradito, per quanto superato.

E, soprattutto, nulla avviene invano...


Alba

Stamattina l'alba mi ha sorpreso.

Non amo chissà quanto esercitarmi ad occhi chiusi, e questo sia per paranoia, sia per non lasciarmi troppo sommergere dal montare delle  sensazioni.

Però ogni tanto cedo, e mi abbandono alla marea, nel buio fatto da me stesso, lasciando che sia la fioca luce della presenza, a mostrarmi quel che avviene o non avviene.

E questo è ancora più vero nel crepuscolo del mattino.

Ma oggi qualcosa mi ha trattenuto molto più a lungo, e, nel riaprirmi al mondo esterno, mi sono accorto che il sole era già alto.

Io son solito attenderla, ogni alba, mentre l'aumentare progressivo della luce accompagna il mio stesso farmi chiaro, e gli oggetti attorno a me si fanno via via più concreti.

Ma oggi il sole mi ha colpito e, insieme al resto, divorato...

10.4.14

... In buona misura ho dovuto aprirmi da solo la via. Non ho avuto l'aiuto inapprezzabile di cui, in altri tempi ed in un diverso ambiente, potè usufruire, nello svolgere una analoga attività, chi fin da principio era collegato con una tradizione viva. Quasi come un disperso, ho dovuto cercare di riconnettermi con i miei propri mezzi ad un esercito allontanatosi, spesso attraversando terre infide e perigliose: un certo collegamento positivo essendosi stabilito solo a partire da un dato periodo...


-J. Evola, Il Cammino del Cinabro

9.4.14

A volte

A volte, mi sento come fossi alla finestra, mentre  lo sguardo si sfoca piano piano, e le colline, le bestie, le rare persone che s'affannano in un modo che mi è difficile comprendere, tutto, persino l'azzurro del cielo, si mischia e si stravolge in una poltiglia senza senso.
E anche i suoni s'accavallano tra loro, ma invano, perchè il silenzio è troppo vasto, per essere riempito.
C'è solo un battito,un pulsare, tanto al di qua quanto al di là di questa carne, che mi conforta.
A volte, una vertigine mi strugge e toglie il fiato, e allora  mi sembra davvero di tornare a casa...

8.4.14

"Nessuno capisce che il grado del sapere d'un uomo è una funzione del grado del suo essere.
Quando il sapere surclassa eccessivamente l'essere, diviene teorico, astratto... può diventare addirittura nocivo, perché, invece di servire la vita e di aiutare la gente nella lotta contro le difficoltà, un sapere di questo tipo comincia a spiegare tutto: perciò può arrecare soltanto difficoltà nuove, nuovi guai e calamità d'ogni genere che prima non esistevano."


-G.I. Gurdjieff