26.7.15

A.I.V. - Presa a terra

Dopo averne viste e sentite, lette e soprattutto sperimentate tante, sono giunto all'irrevocabile decisione di ritener degno di qualcosa di più d'una sprezzante alzata di spalle solo chi, tra la sempre nutrita genia dei sedicenti maestri, operatori e quant'altro, riesca a dimostrare un minimo di maturità nella propria consapevolezza fisica.

Sia ben chiaro, non è certo mia intenzione pretendere competenze tecniche eccelse, o livelli di propriocezione strabilianti, mi basta poter notare con sufficiente certezza la presenza di una qualche forma di “presa a terra”, che possa dare un valore reale alle sempre (teoricamente) valide chiacchiere messe in circolazione.

Per quanto sia ovvio che non a tutte le persone, per colpa di svariati fattori, come l'età o le ferite che inevitabilmente si è costretti a portarsi dietro, è dato di poter dimostrare facilmente quanto da me richiesto, è come minimo impensabile che chi si riempie la bocca di tanti bei discorsetti sia assolutamente sganciato dal proprio corpo.

E' impensabile dal momento che, com'è noto, il corpo conserva la memoria del dolore patito e manifesta il livello e la qualità dell'energia, anche spirituale, e di conseguenza un'insufficiente consapevolezza di questi meccanismi non può non smascherare brutalmente anche il conferenziere più scaltrito, perché dimostra la sua incapacità di applicare nel concreto le implicazioni di ciò di cui va cianciando.


Come si può aver la faccia tosta di predicare alla gente come fare per “guarire se stessi”, “eliminare la “negatività” o “purificare l'aura” (qualunque cosa venga intesa per “aura”) quando addirittura il proprio modo di camminare è un gesto di rifiuto del mondo, in particolare della Terra?

24.7.15

Empatia

Per una natura empatica, quella dell'equanimità è una conquista assai difficile, che richiede la presenza di una mente siderea, algida e metallica. Algida, sì, ma pronta ad arroventarsi per cauterizzare, alla bisogna, le innumerevoli ferite che l'attitudine all'empatia comporta.

E' fin troppo facile commuoversi, lasciarsi toccare nel profondo dalle sensazioni altrui, dalle loro paure, insicurezze o dolori, finendo per portarsele dietro anche laddove sarebbe saggio allontanarsene il prima possibile.

Non è giusto sobbarcarsi più del dovuto, perché s'ottiene solo l'erosione delle già scarse energie a nostra disposizione, finendo per crogiolarsi in un pantano languoroso in cui tutto si può trovare, tranne vie d'uscita.

Un cuore troppo carico non è certo in grado di aiutare, perché offuscato: solo dopo che la brezza siderea della mente avrà spazzato via le nubi gonfie d'acquea empatia, il chiarore dello Spirito autentico sarà in grado di tendere una ben concreta mano.