29.7.14

Il Qigong più adatto alla pratica del Tai Ji Quan \3

Gli esercizi per lavorare sulla FORZA ELASTICA  sono in particolar modo quelli che si concentrano sul rafforzamento dei singoli blocchi strutturali (testa, piano delle spalle, anche etc), attraverso una vera e propria "esplorazione" delle loro modalità di movimento.

Questo rafforzamento deriva dalla pratica scrupolosa degli esercizi noti in Occidente come Power Stretching ( chen jin bao gu), che si concentrano su tendini, legamenti e muscoli profondi, fino a sfiorare il sistema fasciale.

Ed è proprio questo tipo di attenzione rivolta alla struttura profonda e alle proprietà biomeccaniche dei vari tipi di tessuto connettivo a segnare il primo vero passo verso il recupero di quella "animalità" che rappresenterebbe la norma e non certo l'eccezione in fatto di espressione corporea.

Al lavoro sui singoli blocchi segue, per forza di cose, lo studio dell'influenza che ogni singolo blocco ha sulla struttura presa nel suo insieme. Ad esempio, volendo considerare il collo ne vengono studiate sì le possibili flessioni, torsioni e via dicendo, ma anche le necessarie conseguenze che queste azioni possono implicare sul piano delle spalle oppure sul bacino, spostando l'attenzione sul complesso gioco di equilibri che caratterizza il il corpo umano.

Questo gioco potrebbe essere riassunto evidenziando 5 rapporti gerarchici fondamentali, vale a dire:

1.la parte inferiore controlla la parte superiore
2.La parte posteriore controlla la parte anteriore
3.la parte destra controlla la sinistra ( e viceversa)
4.il centro controlla la periferia
5.l'interno controlla l'esterno

che indicano sia il corretto rapporto di dipendenza tra le varie parti del corpo, sia il percorso attraverso cui si giunge, progressivamente, a rendere  "interno"il proprio movimento. Infatti, per quanto ogni gesto atleticamente efficace dipenda dal rispetto delle prime tre gerarchie, un gesto "eccellente",come quello di un danzatore esperto, ad esempio, è possibile solo quando viene rispettata la quarta, ovvero la centralizzazione.

Tuttavia,un gesto che si voglia realmente "interno" deve andare oltre, e nascere proprio da quella struttura profonda, dove il fisico sfuma nell'energetico e nella rappresentazione mentale, che si inizia a risvegliare proprio in questa fase iniziale dell'Opera, in modo che il punto d'inizio finisca per coincidere con quello di arrivo.

Ovviamente, per riuscire a comprendere davvero tutto ciò, sarà senz'altro necessario percorrere, non di rado più e più volte, l'intero cammino, ma le basi si gettano qui.

continua...

"Aprirsi nelle sei direzioni"

5.6.14

Il Qigong più adatto alla pratica del Tai Ji Quan \2

La prima, indispensabile fase del lavoro interno si situa a un livello strutturale, ed ha come obiettivo dichiarato il pieno recupero delle funzionalità «intelligenti» del corpo, che per la maggior parte delle persone sono compromesse , da una parte, da uno stile di vita troppo comodo e sedentario, con i conseguenti squilibri posturali e l'indebolimento generalizzato, dall'altro da un mal interpretato concetto dell'educazione fisica, non importa se finalizzato al conseguimento in tempi rapidi di abilità fisiche funzionali a una specifica attività (oppure al mero raggiungimento di un discutibile ideale estetico), il quale, per converso, porta il corpo ad esaurirsi ed usurarsi, spesso in maniera subdola e difficilmente avvertibile, almeno finchè non sopraggiungono i famigerati "dolori"ed è quasi sempre troppo tardi per correre ai ripari.

Il lavoro interno, invece, tende a collocarsi in una posizione dettata sostanzialmente dal buonsenso, frutto di un'osservazione attenta del corpo umano e delle sue caratteristiche biomeccaniche, le quali devono essere adeguatamente comprese e assolutamente rispettate, pena l'impossibilità materiale di raggiungere i risultati sperati, se non attraverso un cammino tortuoso e assai dispendioso in termini di tempo così come di sforzi.

L'approccio del lavoro interno, dal canto suo, almeno per quanto riguarda questa fase, si presenta come essenzialmente lineare e progressivo, e muove in direzione centripeta dall'esterno all'interno, vale a dire dal grossolano al sottile,  lavorando in maniera apertamente analitica concentrandosi sulle varie componenti in cui è possibile suddividere la struttura, le quali vengono esercitate singolarmente per poi essere integrate in un secondo momento.

Si può dire, semplificando un po', che questo tipo di analisi si occupa in primo luogo
 della capacità di generare forza(interna), distribuirla e scaricarla.

Questi tre momenti vengono trattati attraverso lo studio delle prime tre tipologie di esercizi:

1. esercizi per la FORZA ELASTICA, che corrispondono al momento e al modo in cui la forza viene generata e accumulata;

2. esercizi per la FORZA A SPIRALE, che si occupano di comprendere le modalità in cui la forza viene trasmessa;

3. esercizi per la FORZA ESPLOSIVA, attraverso i quali si impara a scaricare la forza;


continua

14.5.14

Yoga Nomade 2014 ad Ancona

 

 

 

 

 

 

YOGA NOMADE
1 giugno 2014
Mole Vanvitelliana di Ancona

Ritorna l' atteso appuntamento con lo Yoga Nomade!

E’ con grande piacere che lo staff dello YOGA NOMADE annuncia la prossima edizione ad ANCONA nella suggestiva cornice dell’ antica MOLE VANVITELLIANA in collaborazione con il MUSEO OMERO e con il PATROCINIO DEL COMUNE DI ANCONA.

Lo Yoga Nomade è una festa d’insegna dello YOGA , un’ occasione per conoscerne e sperimentare diversi tipi di YOGA con altrettanti insegnanti!

TANTE LEZIONI DI YOGA DI DIFFERENTI STILI si alterneranno nelle diverse sale durante tutta la giornata:
Antonella Luminati – IYENGAR YOGA
Carlotta Hinna – TANTRA YOGA
Sandro Brancaleoni – ASHTANGA YOGA
Giorgia Filippone – KUNDALINI YOGA
Paola Ciabotti – RATNA YOGA
Patrizio Miscia – OKI DO YOGA
Sylvia di Urban Gipsi Yoga- HATHA FLOW YOGA
Arely Torres Delfin- HATHA VINYASA YOGA.

Sala Conferenze e Meditazione: Costellazioni Familiari con Giovanni Troiano e Meditazione Mindfulness con Paola Pela; Free space per meditazione libera durante l’ orario dell’ evento.
Area Olistica: operatori olistici e del benessere offriranno trattamenti gratuiti di Ortho Bionomy,  Ayurveda, Riflessologia Plantare, Shiatsu.
Cortile interno della Mole: Canto armonico e Didjeridoo con Stefano Crocelli e Tai Ji Quan con Remo Pizzin.

L’ edizione del 2014 vede la straordinaria collaborazione dello YOGA NOMADE con il MUSEO OMERO, museo tattile per non vedenti.  “YOGA per OMERO” : Lo YOGA incontra i NON VEDENTI e propone una lezione speciale dedicata condotta dalla Prof. Antonella Luminati , Laureata in scienze motorie e insegnante certificata Iyengar Yoga.

Materiale occorrente: Tappetino per la pratica – le lezione sono adatte anche a chi non ha mai praticato Yoga

YOGA NOMADE EDIZIONE 2014
ANCONA -  MOLE VANVITELLIANA

DOMENICA 1 GIUGNO 2014
ORE 10,30 – 18,30


INGRESSO GRATUITO A OFFERTA LIBERA

Per informazioni :
338.4020816
www.yoganomade.it




8.5.14

Rinnegarsi




E' a dir poco spaventoso realizzare quanto la nostra reale natura, con i suoi limiti, forse, ma anche doti e inclinazioni particolari, sappia volutamente rinnegarsi annullandosi in forme artificiose o comunque estranee.

Anche in questo, l'osservazione degli schematismi corporei riesce ad essere illuminante, data l'estrema incapacità di mentire dimostrata in continuazione dal nostro corpo.

Il corpo non è quasi mai "libero", tanto meno in chi in esso trova una forma di espressione: per quanto possa sembrare assurdo, la maggior parte di chi "usa" abitualmente il proprio corpo, ovverosia gli artisti marziali, ma il discorso vale anche per i danzatori e gli atleti in genere, rivela un livello di condizionamento altissimo.

In questo caso, però, si tratta di una forma di condizionamento ben diversa rispetto a quella che affligge le persone  dotate d'una percezione corporea "normale" e quindi quantomeno vaga, nonchè molto più subdola e difficile da eliminare.

Si tratta dell'incapacità di svincolarsi dai modelli e dalle gestualità apprese, di cui molto spesso si scorda la natura strumentale, e si finisce per trasformarli in ideali astratti, e, perciò, intrinsecamente alieni. In questo modo, si viene a creare una tensione costante verso questo modello estraneo, magari replicato nella miglior maniera possibile, ma comunque sempre inautentico.

Mi sono molte e molte volte domandato come un modello estraneo, per quanto fortemente interiorizzato e reso ragionevolmente "proprio" possa resistere senza collassare sotto la pressione esterna, sia che si tratti della tensione prima di entrare in scena oppure di quella della competizione.  E questo vale infinitamente di più se applicato nel contesto in cui dovrebbero, o meglio non dovrebbero trovarsi gli artisti marziali, ovvero nel caso di uno scontro realmente cruento, che non è nè quello sul ring nè una rissa da bar...

Ma anche volendo prescindere da tutto ciò, sarebbe piuttosto da domandarsi quanto giusta possa essere per la persona questa identificazione rigida con dei modelli astratti: non è forse l'ennesima, e particolarmente sopraffina, forma  di  dissoluzione auto inflitta?



17.4.14

Simbolismo del saluto

Chi frequenta le mie lezioni sa bene quanto poco spazio sia lasciato al formalismo, e come una delle pochissime eccezioni sia quella del saluto tradizionale.

Il saluto non è soltanto questione di cortesia, infatti, può essere definito a buon titolo un esempio di Shou Yin (lett. "segno della mano", affine al Mudra indiano) e quindi cela nella sua gestualità elementare un simbolismo semplice ma allo stesso tempo profondo.

Simbolismo che, del resto, è quello che riassume l'essenza del Gong Fu cinese, ossia l'attenzione rivolta alla Polarità Yin/Yang.

Ma sono possibili altre chiavi di lettura, qualora si voglia tener conto dell'evoluzione storica del gesto.

In principio, il saluto significava "pace" ed era invertito rispetto all'uso attuale, con la mano destra, quindi, ad avvolgere il pugno sinistro.

Così voleva l'etichetta di corte, specie tra filosofi che si accingevano a disputare un argomento.

Tra guerrieri, invece, era la mano sinistra ad avvolgere il pugno destro (dove solitamente si impugna l'arma), come nell'uso abituale.

L'usanza in cui la sinistra si limita a formare un palmo anzichè coprire l'altra risale invece ai tempi delle lotte dei legittimisti Ming contro la dinastia mancese dei Qing (1644-1911) :

la palma rappresentava la luna yue, mentre il pugno destro il sole ri.

I quali, combinati, danno origine alla parola ming, ossia "luce, illuminazione" ma anche il nome della deposta dinastia.

Però la spiegazione più ovvia e contingente è quella che ammonisce, per l'ennesima volta, di bilanciare  sempre gang (duro) e rou (morbido) , soprattutto nella pratica individuale, che non deve mai pendere troppo in un senso o nell'altro.

Ma anche negli aspetti più prosaici del combattimento: non a caso, quasi strizzandoci l'occhio ci rammenta di colpire sempre il duro col morbido, e il morbido col duro...



Perchè scrivo poco di tecnica

Mi è stato fatto da più parti notare come in questo blog sia finito per trattare sempre più raramente di tecnica, dedicandomi piuttosto a tematiche intime e personali.

In realtà, non è che mi manchino gli argomenti per discettar di tecnica, anzi.

Ci sono parecchi articoli pronti essere pubblicati, però esito a trarli fuori dal limbo perchè continuano a sembrarmi incompleti, parziali, di sicuro non definitivi.

Infatti troppe volte, praticando, mi è capitato di dover rivedere di colpo l'interpretazione di un movimento di cui ero convinto d'aver un'idea e una padronanza tutt'altro che vaghe, e ricominciare, quindi, tutto da capo.

O, meglio, più che da capo, da un altro punto di vista.

Ma questo, per quanto assai stimolante sul piano personale, si rivela quasi traumatico qualora si vadano a rileggere le cose scritte in precedenza.

Cose che paiono somigliare invariabilmente ad un pensierino delle elementari, ma la cui ingenuità non è in alcun modo scusabile, e spesso quasi irritante.

E io, sia per mania di perfezionismo, o per inveterata antipatia verso la parzialità, di natura trovo poco onesto il dare a intendere, magari con l'aria di chi la sa lunga, d'aver afferrato qualcosa che invece  continua a sfuggirmi di mano.

Il che vale ancor di più adesso che sono in una fase "fluida", in cui la tecnica prende, perde o semplicemente muta di significato in continuazione, a seconda del momento, o, meglio, del "mio" momento...

A questo s'aggiunge il fatto che l' aver dato una versione più o meno coerente d'una visione giocoforza limitata e provvisoria  continua a non parermi quasi mai  una ragione sufficientemente buona per rompere il silenzio.


Tutt'al più, volendolo fare, preferisco di gran lunga tentar di dare un'idea di come sia possibile servirsi in maniera proficua di questo o di quel movimento, come nel caso dei post su Yubeishi.

Però, anche in quest'ultimo caso, già mi troverei nella posizione di rettificare o integrare qualcosa...

Forse, sarebbe più saggio ammettere  che anche della tecnica "non si da scienza",e cercare piuttosto di mettere in luce l'effetto che essa, tramite la pratica, esercita su di noi: la condivisione di esperienze, risultati oppure stati d'animo a volte può essere di immenso aiuto per chi, lungo un simile cammino, senta la necessità di conferme o, perchè no, di un po' di compagnia.

15.4.14

Sempre dritti

Ci son dei momenti in cui si è quasi costretti a far due conti, e,se ci si volge indietro a guardare la strada percorsa, non è detto che la vista sia sempre indolore.

L'occhio cade infatti con malizia solo sui pantani in cui ci si è dibattuti sempre troppo a lungo ,mentre pare evitare quasi apposta le sparute vette dei risultati ottenuti.

Ma più d'ogni altra cosa, indugia sul serpeggiare del sentiero, sul suo snodarsi spesso in mezzo alla nebbia più fitta, o sulle infinite deviazioni a cui ci ha condannato e ci condanna.

E' facile smarrirsi, anche seguendolo, perchè spesso non si fa che calcare le orme degli errori di chi l'ha tracciato,e non sempre è possibile rendersene conto fino all'ultimo istante.

Senza contare che tornare sui propri passi fa male.

Fa male per la rabbia, fa male per la percezione della propria stolida dabbenaggine, fa male per il tempo buttato, specie se capita più volte.

Poi,finalmente, giunge il momento in cui di sentieri praticabili non ce ne sono più, e si può solo andare avanti.

Dritti davanti a sè, un passo dopo l'altro, costi quel che costi.



14.4.14

...e fu proprio così, che m'accorsi d'aver appreso...

Uno dei grandi misteri della pratica è il fatto di scoprirsi "diversi" da un momento all'altro, e quindi in grado di comprendere, sentire o fare cose che fino ad un istante prima continuavano a sgusciarci malignamente via.

Come se un meccanismo occultato da qualche parte dentro di noi si fosse deciso improvvisamente a scattare, ci troviamo "cambiati", e non è raro che ci capiti di occhiare quasi con scherno al nostro essere così com'era "prima".

Pare infatti quasi pesante, il senso di estraneità di fronte ai pezzi della crisalide appena frantumata, nell'istante prima di gettarli con un'alzata di spalle, e poi l'oblio.

 Eppure, non di rado capita di ritrovarseli davanti, quei frammenti, quando non addirittura di incespicare o ferirsi a causa loro e del troppo oblio, perchè nulla va tradito, per quanto superato.

E, soprattutto, nulla avviene invano...


Alba

Stamattina l'alba mi ha sorpreso.

Non amo chissà quanto esercitarmi ad occhi chiusi, e questo sia per paranoia, sia per non lasciarmi troppo sommergere dal montare delle  sensazioni.

Però ogni tanto cedo, e mi abbandono alla marea, nel buio fatto da me stesso, lasciando che sia la fioca luce della presenza, a mostrarmi quel che avviene o non avviene.

E questo è ancora più vero nel crepuscolo del mattino.

Ma oggi qualcosa mi ha trattenuto molto più a lungo, e, nel riaprirmi al mondo esterno, mi sono accorto che il sole era già alto.

Io son solito attenderla, ogni alba, mentre l'aumentare progressivo della luce accompagna il mio stesso farmi chiaro, e gli oggetti attorno a me si fanno via via più concreti.

Ma oggi il sole mi ha colpito e, insieme al resto, divorato...

10.4.14

... In buona misura ho dovuto aprirmi da solo la via. Non ho avuto l'aiuto inapprezzabile di cui, in altri tempi ed in un diverso ambiente, potè usufruire, nello svolgere una analoga attività, chi fin da principio era collegato con una tradizione viva. Quasi come un disperso, ho dovuto cercare di riconnettermi con i miei propri mezzi ad un esercito allontanatosi, spesso attraversando terre infide e perigliose: un certo collegamento positivo essendosi stabilito solo a partire da un dato periodo...


-J. Evola, Il Cammino del Cinabro

9.4.14

A volte

A volte, mi sento come fossi alla finestra, mentre  lo sguardo si sfoca piano piano, e le colline, le bestie, le rare persone che s'affannano in un modo che mi è difficile comprendere, tutto, persino l'azzurro del cielo, si mischia e si stravolge in una poltiglia senza senso.
E anche i suoni s'accavallano tra loro, ma invano, perchè il silenzio è troppo vasto, per essere riempito.
C'è solo un battito,un pulsare, tanto al di qua quanto al di là di questa carne, che mi conforta.
A volte, una vertigine mi strugge e toglie il fiato, e allora  mi sembra davvero di tornare a casa...

8.4.14

"Nessuno capisce che il grado del sapere d'un uomo è una funzione del grado del suo essere.
Quando il sapere surclassa eccessivamente l'essere, diviene teorico, astratto... può diventare addirittura nocivo, perché, invece di servire la vita e di aiutare la gente nella lotta contro le difficoltà, un sapere di questo tipo comincia a spiegare tutto: perciò può arrecare soltanto difficoltà nuove, nuovi guai e calamità d'ogni genere che prima non esistevano."


-G.I. Gurdjieff

30.3.14

Maturità?

Si dice che la maturità sopravvenga nell'attimo in cui si arrivino a fissare,in qualche modo, i termini del proprio compromesso con il cosiddetto mondo "reale", e che ogni tentativo di sottrarsene finisca per essere stigma di infantilismo, oppure di vago squilibrio mentale.

Per quel che mi riguarda, resto ancora  incapace di comprendere quegli Ego tanto  ipertrofici quanto miserabili, versioni farsesche di quel che un essere umano potrebbe essere, che si prodigano senza sosta a contraddire proprio quel che tanto strombazzano, mentre si schiantano con voluttà l'uno contro l'altro pur di tuffarsi nell'ennesima, fatale cloaca...

Che sia davvero questo, il "reale"?

Mentre i pensieri s'accalcano, l'ottuso piacere che provo nello scegliere l'ombra in questo  giorno di sole mi lascia nuovamente sbalordito e interdetto.

18.2.14

Shaktyoga Club OPEN DAY- Giornata a porte aperte 22\2\2014

Sabato 22 Febbraio, presso lo Shaktyoga Club di Ancona  vi sarà una giornata di studio a porte aperte, in cui sarà possibile lavorare con gli insegnanti e i collaboratori del centro.

Ovviamente ci sarò anch'io...

Ecco il programma:


ore 10,00 HATHA YOGA Posturale con Attrezzi – con Barbara Neri

ore 11,30 TAI JI QUAN – con Remo Pizzin

ore 13,00 pausa pranzo

ore 15,00 NATUROPATIA “Massaggio, fiori, acqua” con Manuela Lanari, Naturopata e Riflessologa Plantare.

ore 16,30 pausa tisana

ore 17,00 COSTELLAZIONI FAMILIARI – Esercizio di gruppo “Liberiamo lo Zoo” con Giovanni Troiano

ore 18,00 YOGA DINAMICO ASHTANGA – con Carlotta Hinna

ore 19,00 YOGA NIDRA – Il sonno Yogico – Rilassamento profondo guidato, con Carlotta Hinna
Angolo Benessere

Durante la giornta sarà possibile prenotarsi con gli operatori olistici per dimostrazioni individuali gratuite di AYURVEDA , TANTSU e RIFLESSOLOGIA PLANTARE.

Per la giornata avere:
abbigliamento comodo, materassino e coperta.

Pranzo autonomo: è possibile fermarsi in pausa pranzo nella zona riservata.
Ingresso Gratuito

Info: info@shaktyogaclub.com






https://www.facebook.com/events/220444544812583/?ref_newsfeed_story_type=regular&source=1

16.2.14


"Potrei credere solo a un dio che sapesse danzare" 
-F.Nietzsche, Così parlò Zarathustra

2.2.14

Na adevo devam arcayet

Mi capita di citare abbastanza spesso questa frase, persino in contesti decisamente profani e forse inadatti quali i social networks,al punto da spingere diverse persone a domandarmene l'origine e il significato.


Na adevo devam arcayet si può rendere in italiano con "nessuno che non sia un Dio veneri Dio", ed è uno dei fondamenti del Tantrismo, sia nella sua versione induista che in quella Buddhista (Vajrayana). Si tratta di un concetto probabilmente ostico e apparentemente blasfemo per chi si sia fermato a una nozione superficiale del Divino, oppure per chi sia stato educato a concepirlo unicamente sotto forme fideistiche o comunque "personali" , ma la cui comprensione risulta necessaria qualora si voglia intraprendere un percorso serio ed efficace nel solco tracciato dalla Tradizione.

Non si deve pensare, infatti, che si tratti di qualcosa di esclusivamente "indiano",sempre che ciò voglia dire effettivamente qualcosa, data l'estrema e feconda varietà delle tradizioni religiose, filosofiche ed operative nate nel subcontinente, bensì di una linea largamente condivisa e sovrapponibile ai più disparati contesti presso i quali si possano trovare affinità di mezzi e di scopi.

 E non ci vuole nemmeno molto per accorgersi che qui ci troviamo ad un'enorme distanza sia dalla superficialità dell'atteggiamento odierno delle religioni organizzate, forzatamente "democratizzate" sia da tutti i piùo meno risibili "misticismi" commercializzabili e commercializzati che affollano l'ambiente della cosiddetta "spiritualità" contemporanea.

Si tratta di un atteggiamento in cui si riflette la straziante necessita' di ricomporre, innanzi tutto, l'uomo frammentato e "disperso" e ricondurlo al suo giusto ordine di grandezza, quello attribuitogli dalla Tradizione. Non una specie di spaurito scimmiotto spelacchiato, quindi, ma Creatura in grado di rispecchiare il Cosmo semplicemente essendo quel che e'. La Natura primordiale, antecedente la Caduta, lo stato di Luce bianca e immobile significano proprio questo: tornare al punto di vista dell'Indifferenziato, e quindi del Divino...

Solo così si può aspirare a riflettere,fosse solo per un istante e pur nella propria transitoria e fragile esistenza, un raggio di quella Luce, senza cadere nelle trappole dell'ego o dei livelli più infimi della materia. 

1.2.14

Nuova classe TJQ e Nei Gong ad Ancona

Da febbraio il corso di Tai Ji Quan e Nei Gong ad Ancona raddoppia:
oltre all'appuntamento del sabato mattina, una nuova classe il MERCOLEDI' dalle ore 18, sempre presso Shaktyoga club...




26.1.14

Verticalità e Axis Mundi/1









Se c'è una caratteristica fisica in grado, tra tutte, di definire immediatamente l'Uomo (Ren), questa è senza dubbio la sua verticalità. Non intendo, con ciò, riferirmi al semplice bipedismo: anche altri animali sono stati o sono tutt'ora bipedi, e forse in maniera persino più efficace, dal punto di vista biomeccanico, di quanto non lo sia l'uomo.

E' più che evidente, infatti, come la conformazione fisica dell'essere umano sia tutt'altro che finalizzata all'efficienza, e lo condanni a tutta una serie di limitazioni, spesso pesanti, e difficilmente compensabili, al punto da far sorgere più di un legittimo sospetto sulla sua reale origine e motivazione.

Da un altro punto di vista, però, questo bipedismo imperfetto, fragile, perennemente squilibrato dalla mancanza di una coda, in un certo senso sembra riassumere in sè la precarietà dell'uomo inteso come animale nudo e sostanzialmente disarmato, perennemente in lotta per essere qualcosa in più. Il nostro bipedismo potrebbe quindi essere considerato come una tensione, una fuga verso l'alto non spiegabile esclusivamente in termini di utilità pratica.

Non a caso, affrontando la primissima nozione ad essere trattata nello studio dell'arte interna, nota come Principio delle Tre Forze, così come si esplica nella c.d. posizione dell'Origine , dopo aver preso coscienza della forza-peso, collegata alla Terra (Di) e allo Yin (in quanto passiva e involontaria), e' necessario concentrarsi proprio sulla verticalita' rappresentata dalla forza del Cielo (Tian) e quindi Yang (in quanto attiva e volontaria).

Questa percezione, acuita dal contrasto, mostra chiaramente come la verticalita' sia per sua natura volitiva, una tensione, come dicevo, volta a bilanciare(1) in qualche modo il vincolo pressochè ineludibile dell'attrazione "tellurica". Somiglia in molti aspetti al tipo di rapporto che lega ogni bambino al proprio padre, fatto di una costante ricerca che finisce per essere una sorta di rincorsa, cosi' essenzialmente diversa, per quanto complementare, all'immediatezza in tutto ciò che riguarda la madre.

E il Cielo e la Terra, non sono forse pressoché ovunque gli archetipi paterno e materno?

Ma questo rappresenta solo un aspetto del potentissimo valore simbolico della verticalita' umana.

È stato anche scritto(2) che l'uomo, cercando e ottenendo in qualche modo questa verticalità, si sia posto su di un piano metafisicamente distinto da quello dell'animale . Infatti, mentre l'animale è forzato dal suo quadrupedismo a "rincorrere" perennemente se stesso,  l'uomo bipede, avanzando, " si supera" ad ogni passo...

Ma questo continuo doversi superare nonostante la precarietà intrinseca della struttura fisica e, di conseguenza, di quella mentale, non sembra a volte la beffarda condanna di un dio malevolo?


O, forse, più che di condanna non si potrebbe pensare che si tratti di un "segno"?

---
Continua...















(1)E' fondamentale anche in questo caso, notare come si debba parlare di bilanciamento anziche' di contrasto, visto che in natura non si va avanti a lungo, opponendosi alle sue leggi, e, del resto, difficilmente sarebbe possibile farlo. 
(2) F. Schuon, Dal divino all'umano

23.1.14

Gli "svantaggi" del Nei Gong

Dopo anni passati a cercar di far conoscere e comprendere gli svariati benefici che possono esser ricavati praticando con cognizione le metodiche di Nei Gong, quest'oggi mi sento in dovere, anche se non so bene per quale ragione, di farne conoscere anche gli innegabili svantaggi. Svantaggi che, stando a sentire diversa gente, ne rivelerebbero la natura tragicamente obsoleta e quanto mai poco adatta alla società contemporanea.
In primo luogo, si tratta di un percorso lungo, forse troppo lungo, e soprattutto, difficilmente esauribile: in una (pseudo)cultura fondata sul nozionismo e sulla creazione di aspettative e conseguenti pianificazioni in salsa manageriale, si tratta di una prospettiva a dir poco inquietante, e assai poco comprensibile, almeno agli occhi dei piu'. L'abitudine alla progressione lineare, inculcata fin dalla piu' tenera eta' e in tutti i campi possibili, non permette di comprendere un cammino che lineare non e', fatto com'e' di riprese, ritorni e riletture che ne rivelano la natura circolare o, meglio ancora e non a caso, spiraliforme. Questo continuo susseguirsi di riprese, riletture e revisioni delle medesime cose ci porta al secondo svantaggio della pratica del Nei Gong, ossia il suo essere tremendamente noioso. E quindi siamo di fronte a un problema davvero grosso, dato che, a quanto pare, di questi tempi è altamente improbabile vedere qualcuno dedicarsi a cose non "divertenti" per vocazione quando non addirittura per definizione.
In più, questa attività così poco divertente richiede, per giunta, parecchio  impegno e di conseguenza tempo, quindi non va proprio d'accordo con i ritmi innaturali cui si sottopone (apparentemente di buona voglia) la maggior parte delle persone.
A dire il vero, il problema dell'impegno e, in particolare, della mancanza del medesimo, meriterebbe una trattazione a parte, e mi adopererò in tal senso. Per ora basti dire che si tratta di uno tra i peggiori spauracchi tra quelli agitabili, davanti al quale fuggono anche i più baldanzosi. Anzi, soprattutto loro...

21.1.14

L'importanza didattica di Yubeishi - parte seconda



Per favorire la presa di coscienza dell'integrità corporea mediante la pratica di Yubeishi, e' consigliabile far sperimentare varie modalità di esecuzione, sia a solo sia in coppia.

Vediamone alcune.


In primo luogo, praticare sotto forma di posture statiche (zhan zhuang) le quattro fasi (peng,lu,ji,an) che compongono Yubeishi permette di rafforzare e approfondire la percezione dei corretti allineamenti strutturali e, di conseguenza, di quella sensazione di rotondità elastica che dovrà poi esser mantenuta durante l'esecuzione delle forme.

En passant, va notato come, ad un livello più avanzato, tutto ciò possa essere estremamente utile anche per iniziare a lavorare sulle connessioni più "sottili" sottese al movimento e legate alla sfera energetico\mentale (yi\qi). Ma prima, è sempre il caso di ribadirlo, bisogna che ad essere pienamente comprese siano le connessioni strutturali, pena la fin troppo diffusa deriva nei reami della fantasia, tristemente osservabile nella grande maggioranza dei praticanti di Tai Ji Quan.

Tornando al livello dei principianti, le posture statiche possono ovviamente essere praticate anche con l'ausilio di un compagno, il cui compito consisterà nell'esercitare vari tipi di sollecitazioni in modo da verificare le qualità (radicamento, risposta elastica etc) delle posture stesse.




Sul versante "dinamico",invece, ritengo assai valido il far ripetere, lentamente, senza soluzione di continuità e con il massimo rilassamento, il movimento completo per almeno cinque minuti. Di tanto in tanto, poi, esercitarsi anche ad occhi chiusi, può aiutare i neofiti ad evitare le suggestioni esterne e a concentrarsi sulle proprie sensazioni interiori. Ma a mio avviso la pratica ad occhi chiusi andrebbe centellinata, in quanto potrebbe portare ad una percezione troppo solipsistica e introvertita del movimento nonché a sviluppare un'abitudine difficilmente compatibile con una pratica sensata del Tai Ji Quan quale arte marziale.


Ad ogni modo, allenarsi alla ripetizione continua e ininterrotta permette di sviluppare a poco a poco la qualità detta lian huan ("tutto-unito"),ossia la capacità di muoversi "sfumando" le tecniche l'una nell'altra anziché limitandosi ad eseguirle separatamente, per quanto in sequenza.


Questo è un punto particolarmente importante,per il Tai Ji Quan: un movimento incapace di "fluire", o meglio ancora di mutare a seconda della situazione semplicemente NON è Tai Ji Quan.


Per questo, ritengo fondamentale introdurre fin dalle primissime lezioni lo studio di questo tipo di continuità, e un movimento apparentemente semplice e non impegnativo come Yubeishi può essere molto utile, anche e soprattutto in quanto non immediatamente riferibile alla circolarità delle figure successive. Circolarità che, come si sa, "aiuta", ovvero permette di sentire subito la continuità, ma, allo stesso tempo, tende anche a fuorviare, facendo spesso invischiare il principiante in un movimento sì continuo ma quasi sempre periferico e quindi non corretto. Anche in questo caso, Yubeishi torna utile, e può diventare un ottimo complemento alla fondamentale pratica del Chansi Gong, ovvero la metodica principe per lo sviluppo della continuità corretta e componente imprescindibile dell'addestramento nel Tai Ji Quan. In particolare, l'assenza di rotazioni a livello delle anche o della vita permette al principiante di concentrarsi senza troppi grattacapi sulla dimensione alto/basso del movimento, e quindi sul rapporto tra i piedi e il suolo ("la forza parte dai piedi.." Come appunto si dice nella teoria del Chansi Gong).

continua...

19.1.14

Strapparsi





Basta poco a ricordarmi come il confine tra guarigione e compensazione sia tutt'altro che una faccenda di sfumature. E come ferite antiche, contorte e radicate nel corpo come pini su di un aspro pendio, sappiano a volte riportare indietro il tempo del cuore, mentre la nausea che strozza il respiro riesce di nuovo a scombussolare e confondere.


Come sempre, "sapere" le cose non basta, e nemmeno il tentare di tenersi in piedi a forza, in barba a tutto, perché scovare una briciola di pace tra ciò che il tempo ha contorto con tanta abilità e perfidia è per più d'un verso una faccenda titanica, nonostante a volte basterebbe accendere senza indugio il giusto Lume, e guardare.

Ma è una strana forma di ignavia, più che la paura, a voler lasciare irrisolto ogni conflitto doloroso, permettendogli così di insinuarsi tra le fibre e i tessuti, e trasformarsi a poco a poco in ossessione delle carni. E ogni ossessione, si sa, è un veleno silenzioso, che corrompe e imputridisce, senza concedere alcuna dissoluzione liberatrice, perché non è stasi, ma ingorgo.


Ci vuol parecchio, per accettare di non aver mai fatto abbastanza, e che, oltre ad aver il cuore e il fegato di tornare a denudare la ferita e risentirne quindi il morso o la vergogna, occorre quello d'affrontare quel che s'è fatto e non è bastato.


Ripercorrere per l'ennesima volta gli stessi passi, disseppellire quel che abbiamo tentato di negare affondandolo nella carne, e rivederlo, riviverlo affrontandolo di nuovo con la poca Saggezza che abbiamo acquisito, ecco l'unico modo per andare oltre e guarire, forse imparare, ma costa caro.Molto caro, e non a tutti è dato di resistere al sapore del proprio sangue, o all'odore della propria paura.

Ma non c'è scampo, nè scelta, perchè liberarsi è uno strapparsi a tutto, anche alla carne che si porta addosso, qualora diventasse d'intralcio...

12.1.14

Fastidio

Poche, pochissime cose sono in grado di irritarmi quanto il termine "marzialista". Aldilà della sonorità volgare e della mia sempre più acuta intolleranza verso gli -ismi, ogni volta che mi capita la sventura di leggerlo da qualche parte m'appaiono ineluttabilmente un volto paonazzo e sudaticcio, avvitato alla bene e meglio su un corpo inflaccidito, oppure uno smunto, cadaverico eppur famelico, e con gli occhi da serpe. Immagini orride, ne convengo, e del tutto aliene,almeno in teoria, a quel che dovrebbe essere l'immagine d'un praticante d'arti marziali, ma mio malgrado rappresentano una robusta porzione di quelli che si dicono "appassionati", e che mai si lasciano sfuggire l'occasione di discettare sull'argomento. Infatti, la prima cosa a cui penso, leggendo buona parte degli interventi sui social networks, è se gli autori si siano mai presi la briga di allenarsi sul serio almeno un paio di volte nel corso  della loro "carriera"...