3.10.15

Introduzione al Nei Gong- Ancona 17\10\2015

Dopo parecchi mesi di latitanza, riprendo i miei seminari di Nei Gong presso lo Shaktyogaclub di Ancona...
















Cos'è il Nei Gong
Nei Gong significa letteralmente "abilità acquisita (gong, come in Gong fu ed in Qi Gong) all'interno (nei)", e si riferisce alle antiche metodiche di allenamento tramite le quali viene sviluppata la percezione delle strutture profonde del corpo e la capacità di utilizzarle al meglio per scopi marziali, terapeutici e\o di evoluzione spirituale.
Questo tipo di lavoro, derivato dall'osservazione degli animali e dei fenomeni naturali coinvolge non solo la dimensione fisica,"materiale", ma anche le più sfuggenti dimensioni energetico\ emotiva e mentale. Infatti, non si tratta di lavorare, per così dire, col corpo sul corpo, perchè in tal caso si tratterebbe di un normale esercizio ginnico, bensì di utilizzare la propria mente intesa come Yi (intenzione, proposito ma anche ideazione) attraverso un medium adatto, che la Tradizione cinese indica col nome di Qi, il Soffio, per agire sulla struttura fisica "restituendola", per così dire, alla consapevolezza e ripristinando nell'individuo quella "spontaneità" (Ziran) nell'essere e nell'agire che gli sarebbe propria per natura, liberandolo così dai condizionamenti negativi che lo indeboliscono e ne limitano le capacità.

Per ottenere questo, il percorso del Nei Gong è suddiviso in varie tipologie di esercizi, volte a favorire una più precisa e specifica percezione delle diverse dinamiche che coinvolgono i rapporti tra corpo, mente e soffio, e si muove in direzione centripeta dall'esterno all'interno, vale a dire dal grossolano al sottile, lavorando in maniera analitica concentrandosi sulle varie componenti in cui è possibile suddividere la struttura, le quali vengono esercitate singolarmente per poi essere integrate in un secondo momento.


Si può dire, semplificando non poco, che questo tipo di analisi si occupa in primo luogo

della capacità di generare forza interna (Nei Jin), distribuirla e scaricarla.

Capacità che vengono trattate attraverso lo studio delle prime tre tipologie di esercizi:


1. esercizi per la FORZA ELASTICA, che lavorano sul come la forza viene generata e accumulata;

2. esercizi per la FORZA A SPIRALE, che si occupano di comprendere le modalità in cui la forza viene trasmessa;
3. esercizi per la FORZA ESPLOSIVA, attraverso i quali si impara a scaricare la forza;

Cosa si farà


Nel corso del seminario verranno introdotti elementi del Chen Jin Bao Gu (Power stretching) e dello Zhan Zhuang (esercizi dell'albero) , due delle metodiche fondamentali per lo sviluppo della Forza elastica.


Cosa serve

Abiti comodi. 

Dove e quando 

Sabato 17 ottobre, dalle ore 10 e 30 alle12 e 30 presso Shaktyogaclub via Scrima 81 Ancona

info 


3407732431

gipsyfighter@gmail.com

cuorementepugno.blogspot.it












Vi aspetto!




Qui il link all'evento facebook: https://www.facebook.com/events/490540487775287/

26.7.15

A.I.V. - Presa a terra

Dopo averne viste e sentite, lette e soprattutto sperimentate tante, sono giunto all'irrevocabile decisione di ritener degno di qualcosa di più d'una sprezzante alzata di spalle solo chi, tra la sempre nutrita genia dei sedicenti maestri, operatori e quant'altro, riesca a dimostrare un minimo di maturità nella propria consapevolezza fisica.

Sia ben chiaro, non è certo mia intenzione pretendere competenze tecniche eccelse, o livelli di propriocezione strabilianti, mi basta poter notare con sufficiente certezza la presenza di una qualche forma di “presa a terra”, che possa dare un valore reale alle sempre (teoricamente) valide chiacchiere messe in circolazione.

Per quanto sia ovvio che non a tutte le persone, per colpa di svariati fattori, come l'età o le ferite che inevitabilmente si è costretti a portarsi dietro, è dato di poter dimostrare facilmente quanto da me richiesto, è come minimo impensabile che chi si riempie la bocca di tanti bei discorsetti sia assolutamente sganciato dal proprio corpo.

E' impensabile dal momento che, com'è noto, il corpo conserva la memoria del dolore patito e manifesta il livello e la qualità dell'energia, anche spirituale, e di conseguenza un'insufficiente consapevolezza di questi meccanismi non può non smascherare brutalmente anche il conferenziere più scaltrito, perché dimostra la sua incapacità di applicare nel concreto le implicazioni di ciò di cui va cianciando.


Come si può aver la faccia tosta di predicare alla gente come fare per “guarire se stessi”, “eliminare la “negatività” o “purificare l'aura” (qualunque cosa venga intesa per “aura”) quando addirittura il proprio modo di camminare è un gesto di rifiuto del mondo, in particolare della Terra?

24.7.15

Empatia

Per una natura empatica, quella dell'equanimità è una conquista assai difficile, che richiede la presenza di una mente siderea, algida e metallica. Algida, sì, ma pronta ad arroventarsi per cauterizzare, alla bisogna, le innumerevoli ferite che l'attitudine all'empatia comporta.

E' fin troppo facile commuoversi, lasciarsi toccare nel profondo dalle sensazioni altrui, dalle loro paure, insicurezze o dolori, finendo per portarsele dietro anche laddove sarebbe saggio allontanarsene il prima possibile.

Non è giusto sobbarcarsi più del dovuto, perché s'ottiene solo l'erosione delle già scarse energie a nostra disposizione, finendo per crogiolarsi in un pantano languoroso in cui tutto si può trovare, tranne vie d'uscita.

Un cuore troppo carico non è certo in grado di aiutare, perché offuscato: solo dopo che la brezza siderea della mente avrà spazzato via le nubi gonfie d'acquea empatia, il chiarore dello Spirito autentico sarà in grado di tendere una ben concreta mano.


14.6.15

Incomprensibilità

La scelta di mantenere linee di coerenza, quali che siano, comporta quasi fatalmente il dover saldare un conto quantomeno salato, fatto di incomprensioni e diserzioni di vario tipo, specialmente da parte di chi non esita a definirsi più vicino.
Il fatto di possedere una qualche visione, per quanto confusa, determina quasi per riflesso un goffo passo indietro da parte di chi ne è privo, quasi una sorta di timore reverenziale che separa e offusca.
E' come se nel voler seguire una direzione precisa, e decidere di mantenerla infischiandosene della tortuosità del percorso, si celasse un oscuro divieto, una sorta di tabù per il bulimico opportunismo contemporaneo.
Ad essere incomprensibile è in primo luogo la scelta di astenersi dal prendere compulsivo, sia che si tratti di cose lecite sia che si tratti di cose illecite: non puoi non volere, non puoi non desiderare, non puoi non soddisfare anche la più sciocca delle brame senza apparire strano, forse malato...
E in definitiva perdente, almeno agli occhi di certi sfuggenti mangiatori di carogne.
Questo perché la nozione di scelta, per essere autentica, comporta una inevitabile adesione, una presa di coscienza gravida di responsabilità. Non per niente, infatti, si è spesso sentito dire come l'assenso, in piena consapevolezza e volontà, sia l'unico vero margine di libertà concesso a noi mortali.

E non potrebbe essere altrimenti, perché solo l'azzardarsi ad aprire gli occhi scoprendosi avviluppati dai cordami del Fato permette di riconoscerlo, e, magari, di comprenderlo.

23.5.15

Absit iniuria verbis- TJQ globalizzato


Ho già avuto modo di esprimere le mie perplessità riguardo l'intenzione, da parte del governo cinese, di promuovere la pratica del Tai ji Quan al punto di farla giungere ad una diffusione “globale” alla stregua di quella ottenuta a suo tempo dallo Yoga.



Francamente, non potrei immaginare una catastrofe peggiore: per quanto alcuni vi vedranno l'opportunità decisiva per incrementare la propria fama e i propri introiti, o si sentiranno finalmente sdoganati agli occhi del grande pubblico, una prospettiva simile non rappresenterebbe altro che una brusca accelerazione del processo degenerativo iniziato, suo malgrado, con Yang Chenfu e culminato con la codifica della famigerata forma di Pechino (1956), alla quale si deva una prima, massiccia diffusione del Tai Ji al di fuori dell'ambiente delle arti marziali.


Sebbene molti sostengano come questo processo di popolarizzazione abbia permesso, semplificandolo e rendendolo accessibile pressochè a chiunque, la stessa sopravvivenza del Tai Ji Quan, in realtà ha finito per snaturarlo quasi completamente, al punto che la maggior parte di quel che viene spacciato per tale effettivamente non lo è, e non sempre si può invocare la buona fede.


Infatti, a partire dalla codifica sempre più rigida delle forme del Tai Ji Quan, ossia il vero e proprio peccato originale della concezione falsata della disciplina, questa volontà di rendere più semplice e soprattutto omogeneo il modo di praticare ne ha eroso progressivamente la percezione corretta, fatta di comprensione e manifestazione di principi, e non di adeguamento pavloviano a modelli morti e imposti.


Non a caso, quando mi capita di vedere immagini di classi più o meno sterminate, punteggiate di figure storte, sovrappeso o prossime a spirare, eppure tutte convintissime e ben paludate nei loro candidi pigiamini mentre si contorcono al rallentatore come tanti zombi in una piantagione di canna da zucchero, provo sempre un brivido, e non di rado soffoco un conato.


Quello non è Tai Ji Quan, punto.


E non potrebbe essere altrimenti, perchè il Tai Ji Quan è in primo luogo un fatto di ricerca strettamente personale, condivisibile tutt'al più con un ristretto numero di “fratelli” insieme ai quali è possibile instaurare un rapporto di mutuo scambio e supporto, e non ha evidentemente nulla a che spartire con l'immersione nella poltiglia anonima di cui sopra, e che in molti, cinesi per primi, vorrebbero diffusa “globalmente”.

Oltretutto, la pratica autentica del Tai Ji Quan, come del resto avviene in altre arti e discipline tradizionali, conserva, in particolar modo in quel che riguarda la didattica, delle caratteristiche e modalità proprie che si potrebbero definire “artigianali”, frutto cioè, di una maestria acquisita e applicata ad un dato materiale a seconda delle esigenze di un preciso committente, e quindi decisamente estranea all'organizzazione “industriale” di creazione e messa in vendita di un qualunque prodotto standard fruibile da chiunque.

 
In definitiva, ad agitarsi è sempre lo spettro del voler rendere omogeneo qualcosa che omogeneo non è, e non può diventarlo a meno di non venir meno alla sua propria natura. E ciò che non è omogeneo è giocoforza escluso da un eventuale mercato “globale”, come quello che si vorrebbe veder aperto nel prossimo futuro...

18.4.15

Sette

Sette anni fa son diventato padre per la prima volta, iniziando ad accorgermi di come la Vita possa farti sentire " di passaggio" ben più di quanto possa madama Morte, scavalcando la pochezza dei costrutti esistenziali basati sull'egomania miope e sostanzialmente infantile in cui mi crogiolavo.
Forse, tutto il lavorio di "crescita" personale altro non è che il tentativo di forgiare un anello sufficientemente saldo cui possano attaccarsi senza timore quelli successivi, e tramandar loro il regime del fuoco...

11.4.15

Non "non-peng"

Un particolare essenziale nella pratica del Tai ji Quan è la comprensione della natura dei rapporti tra gli opposti jin di peng e di lu, vale a dire tra l'opporsi e il cedere.

Si potrebbe anche dire che peng e lu rappresentino l'esemplificazione dei due principi Yang e Yin, dei quali il Tai Ji dovrebbe essere l'armonizzazione e il superamento.

In un certo senso, quindi, la pratica, in particolare delle forme, andrebbe letta nell'ottica di una continua alternanza di peng e lu, con gli altri jin (ji, an, cai, lie, zhou e kao) come variazioni e\o combinazioni derivate.

Però è il caso di soffermarsi su un punto fondamentale, di cui è necessario aver un' idea ben chiara, qualora non si voglia rischiare il fraintendimento totale dello stile e, soprattutto, delle sue possibilità applicative. 

Questo punto è il fatto che, aldilà delle formulazioni simboliche, in realtà, tra peng e lu la contrapposizione è solo apparente, non sostanziale: lu non è in alcun modo un "non-peng" nel senso di un'assenza di peng, quanto un suo utilizzo tattico radicalmente diverso, tanto da farlo sembrare opposto.

E sarebbe ben difficile pensare altrimenti, qualora si fosse ben compresa la natura del peng jin, ma ciò non toglie la necessità di ribadirlo, specie in un ambiente così tanto propenso alle professioni di fede qual è quello del Gongfu "interno"...



6.2.15

Ricordi

Per un attimo m'è parso di esser ancora seduto sul davanzale come facevo da ragazzo, con gli occhi tuffati quasi a forza in quel poco di cielo che m'era dato di vedere.

Sempre lontano e, in qualche modo, solo tra la gente che pareva rarefarsi ad ogni istante, a volte molesta, spesso inutile e quasi sempre confusa.

Con solo il corpo a darmi segno d'esser vivo, mi scivolava addosso tutto quel vociare, e con gli occhi socchiusi ero perennemente altrove.

Troppo freddo per non far arretrare gli altri, troppo rovente per essere maneggiato, non appartenevo a nessuno se non per mia personale voglia o costrizione, e troppe cose ho lasciato passar via senza coglierne il senso, o il dolore sotteso.

Ma ora che un po' di bianco inizia ad insinuarsi lentamente sulle guance, sento involarsi piano anche il ricordo,  ritorno qui.

E guardo fuori.

4.1.15

Alcune riflessioni su Xin, Yi e Xing

Xin è l'avere in animo di far qualcosa, la natura cava del cuore che si riempie d'impulso per poi vuotarsi e mutar forma.

 Yi  è lo strutturarsi dell'impulso in proposito, il primo passo verso la forma che è anche un rischiararsi (contiene infatti il radicale "luce") attraverso la consapevolezza.

Xing ,invece, è forma strutturata e resa finalmente palese quale caratterizzazione specifica e riconoscibile.

E' un errore, quindi, voler in qualche modo contrapporre xin e yi, magari forzandone l'identificazione con i concetti di mente "emotiva" o "razionale", perché si tratta di fasi susseguenti anziché opposte.

Anzi, qualora risulti indispensabile interpretarne le dinamiche sotto forma di contrapposizione, questa va accuratamente circostanziata, per non cadere nel solito trabocchetto dualista.

In aggiunta, essendo sempre rischioso voler stabilire in maniera più o meno arbitraria delle cesure o delle demarcazioni negli eventi psichici che non siano poste su un piano rigorosamente ontologico, risulta assai difficile uscire dal livello di percezione cosiddetto ordinario, con il conseguente accavallarsi raffazzonato (al ribasso) di piani e concetti non sempre sovrapponibili.

Piuttosto, risulta proficua l'osservazione distaccata del percorso psichico, ossia il suo sorgere (xin), definirsi (yi) e concretizzarsi (xing), tentando, nei limiti del possibile, di ottimizzarlo.

Si tratta in più di un senso dell'applicazione su un piano diverso del solito meccanismo di generazione, trasmissione ed espressione della forza che rappresenta il cuore della pratica del Nei Gong...