26.1.14

Verticalità e Axis Mundi/1









Se c'è una caratteristica fisica in grado, tra tutte, di definire immediatamente l'Uomo (Ren), questa è senza dubbio la sua verticalità. Non intendo, con ciò, riferirmi al semplice bipedismo: anche altri animali sono stati o sono tutt'ora bipedi, e forse in maniera persino più efficace, dal punto di vista biomeccanico, di quanto non lo sia l'uomo.

E' più che evidente, infatti, come la conformazione fisica dell'essere umano sia tutt'altro che finalizzata all'efficienza, e lo condanni a tutta una serie di limitazioni, spesso pesanti, e difficilmente compensabili, al punto da far sorgere più di un legittimo sospetto sulla sua reale origine e motivazione.

Da un altro punto di vista, però, questo bipedismo imperfetto, fragile, perennemente squilibrato dalla mancanza di una coda, in un certo senso sembra riassumere in sè la precarietà dell'uomo inteso come animale nudo e sostanzialmente disarmato, perennemente in lotta per essere qualcosa in più. Il nostro bipedismo potrebbe quindi essere considerato come una tensione, una fuga verso l'alto non spiegabile esclusivamente in termini di utilità pratica.

Non a caso, affrontando la primissima nozione ad essere trattata nello studio dell'arte interna, nota come Principio delle Tre Forze, così come si esplica nella c.d. posizione dell'Origine , dopo aver preso coscienza della forza-peso, collegata alla Terra (Di) e allo Yin (in quanto passiva e involontaria), e' necessario concentrarsi proprio sulla verticalita' rappresentata dalla forza del Cielo (Tian) e quindi Yang (in quanto attiva e volontaria).

Questa percezione, acuita dal contrasto, mostra chiaramente come la verticalita' sia per sua natura volitiva, una tensione, come dicevo, volta a bilanciare(1) in qualche modo il vincolo pressochè ineludibile dell'attrazione "tellurica". Somiglia in molti aspetti al tipo di rapporto che lega ogni bambino al proprio padre, fatto di una costante ricerca che finisce per essere una sorta di rincorsa, cosi' essenzialmente diversa, per quanto complementare, all'immediatezza in tutto ciò che riguarda la madre.

E il Cielo e la Terra, non sono forse pressoché ovunque gli archetipi paterno e materno?

Ma questo rappresenta solo un aspetto del potentissimo valore simbolico della verticalita' umana.

È stato anche scritto(2) che l'uomo, cercando e ottenendo in qualche modo questa verticalità, si sia posto su di un piano metafisicamente distinto da quello dell'animale . Infatti, mentre l'animale è forzato dal suo quadrupedismo a "rincorrere" perennemente se stesso,  l'uomo bipede, avanzando, " si supera" ad ogni passo...

Ma questo continuo doversi superare nonostante la precarietà intrinseca della struttura fisica e, di conseguenza, di quella mentale, non sembra a volte la beffarda condanna di un dio malevolo?


O, forse, più che di condanna non si potrebbe pensare che si tratti di un "segno"?

---
Continua...















(1)E' fondamentale anche in questo caso, notare come si debba parlare di bilanciamento anziche' di contrasto, visto che in natura non si va avanti a lungo, opponendosi alle sue leggi, e, del resto, difficilmente sarebbe possibile farlo. 
(2) F. Schuon, Dal divino all'umano

23.1.14

Gli "svantaggi" del Nei Gong

Dopo anni passati a cercar di far conoscere e comprendere gli svariati benefici che possono esser ricavati praticando con cognizione le metodiche di Nei Gong, quest'oggi mi sento in dovere, anche se non so bene per quale ragione, di farne conoscere anche gli innegabili svantaggi. Svantaggi che, stando a sentire diversa gente, ne rivelerebbero la natura tragicamente obsoleta e quanto mai poco adatta alla società contemporanea.
In primo luogo, si tratta di un percorso lungo, forse troppo lungo, e soprattutto, difficilmente esauribile: in una (pseudo)cultura fondata sul nozionismo e sulla creazione di aspettative e conseguenti pianificazioni in salsa manageriale, si tratta di una prospettiva a dir poco inquietante, e assai poco comprensibile, almeno agli occhi dei piu'. L'abitudine alla progressione lineare, inculcata fin dalla piu' tenera eta' e in tutti i campi possibili, non permette di comprendere un cammino che lineare non e', fatto com'e' di riprese, ritorni e riletture che ne rivelano la natura circolare o, meglio ancora e non a caso, spiraliforme. Questo continuo susseguirsi di riprese, riletture e revisioni delle medesime cose ci porta al secondo svantaggio della pratica del Nei Gong, ossia il suo essere tremendamente noioso. E quindi siamo di fronte a un problema davvero grosso, dato che, a quanto pare, di questi tempi è altamente improbabile vedere qualcuno dedicarsi a cose non "divertenti" per vocazione quando non addirittura per definizione.
In più, questa attività così poco divertente richiede, per giunta, parecchio  impegno e di conseguenza tempo, quindi non va proprio d'accordo con i ritmi innaturali cui si sottopone (apparentemente di buona voglia) la maggior parte delle persone.
A dire il vero, il problema dell'impegno e, in particolare, della mancanza del medesimo, meriterebbe una trattazione a parte, e mi adopererò in tal senso. Per ora basti dire che si tratta di uno tra i peggiori spauracchi tra quelli agitabili, davanti al quale fuggono anche i più baldanzosi. Anzi, soprattutto loro...

21.1.14

L'importanza didattica di Yubeishi - parte seconda



Per favorire la presa di coscienza dell'integrità corporea mediante la pratica di Yubeishi, e' consigliabile far sperimentare varie modalità di esecuzione, sia a solo sia in coppia.

Vediamone alcune.


In primo luogo, praticare sotto forma di posture statiche (zhan zhuang) le quattro fasi (peng,lu,ji,an) che compongono Yubeishi permette di rafforzare e approfondire la percezione dei corretti allineamenti strutturali e, di conseguenza, di quella sensazione di rotondità elastica che dovrà poi esser mantenuta durante l'esecuzione delle forme.

En passant, va notato come, ad un livello più avanzato, tutto ciò possa essere estremamente utile anche per iniziare a lavorare sulle connessioni più "sottili" sottese al movimento e legate alla sfera energetico\mentale (yi\qi). Ma prima, è sempre il caso di ribadirlo, bisogna che ad essere pienamente comprese siano le connessioni strutturali, pena la fin troppo diffusa deriva nei reami della fantasia, tristemente osservabile nella grande maggioranza dei praticanti di Tai Ji Quan.

Tornando al livello dei principianti, le posture statiche possono ovviamente essere praticate anche con l'ausilio di un compagno, il cui compito consisterà nell'esercitare vari tipi di sollecitazioni in modo da verificare le qualità (radicamento, risposta elastica etc) delle posture stesse.




Sul versante "dinamico",invece, ritengo assai valido il far ripetere, lentamente, senza soluzione di continuità e con il massimo rilassamento, il movimento completo per almeno cinque minuti. Di tanto in tanto, poi, esercitarsi anche ad occhi chiusi, può aiutare i neofiti ad evitare le suggestioni esterne e a concentrarsi sulle proprie sensazioni interiori. Ma a mio avviso la pratica ad occhi chiusi andrebbe centellinata, in quanto potrebbe portare ad una percezione troppo solipsistica e introvertita del movimento nonché a sviluppare un'abitudine difficilmente compatibile con una pratica sensata del Tai Ji Quan quale arte marziale.


Ad ogni modo, allenarsi alla ripetizione continua e ininterrotta permette di sviluppare a poco a poco la qualità detta lian huan ("tutto-unito"),ossia la capacità di muoversi "sfumando" le tecniche l'una nell'altra anziché limitandosi ad eseguirle separatamente, per quanto in sequenza.


Questo è un punto particolarmente importante,per il Tai Ji Quan: un movimento incapace di "fluire", o meglio ancora di mutare a seconda della situazione semplicemente NON è Tai Ji Quan.


Per questo, ritengo fondamentale introdurre fin dalle primissime lezioni lo studio di questo tipo di continuità, e un movimento apparentemente semplice e non impegnativo come Yubeishi può essere molto utile, anche e soprattutto in quanto non immediatamente riferibile alla circolarità delle figure successive. Circolarità che, come si sa, "aiuta", ovvero permette di sentire subito la continuità, ma, allo stesso tempo, tende anche a fuorviare, facendo spesso invischiare il principiante in un movimento sì continuo ma quasi sempre periferico e quindi non corretto. Anche in questo caso, Yubeishi torna utile, e può diventare un ottimo complemento alla fondamentale pratica del Chansi Gong, ovvero la metodica principe per lo sviluppo della continuità corretta e componente imprescindibile dell'addestramento nel Tai Ji Quan. In particolare, l'assenza di rotazioni a livello delle anche o della vita permette al principiante di concentrarsi senza troppi grattacapi sulla dimensione alto/basso del movimento, e quindi sul rapporto tra i piedi e il suolo ("la forza parte dai piedi.." Come appunto si dice nella teoria del Chansi Gong).

continua...

19.1.14

Strapparsi





Basta poco a ricordarmi come il confine tra guarigione e compensazione sia tutt'altro che una faccenda di sfumature. E come ferite antiche, contorte e radicate nel corpo come pini su di un aspro pendio, sappiano a volte riportare indietro il tempo del cuore, mentre la nausea che strozza il respiro riesce di nuovo a scombussolare e confondere.


Come sempre, "sapere" le cose non basta, e nemmeno il tentare di tenersi in piedi a forza, in barba a tutto, perché scovare una briciola di pace tra ciò che il tempo ha contorto con tanta abilità e perfidia è per più d'un verso una faccenda titanica, nonostante a volte basterebbe accendere senza indugio il giusto Lume, e guardare.

Ma è una strana forma di ignavia, più che la paura, a voler lasciare irrisolto ogni conflitto doloroso, permettendogli così di insinuarsi tra le fibre e i tessuti, e trasformarsi a poco a poco in ossessione delle carni. E ogni ossessione, si sa, è un veleno silenzioso, che corrompe e imputridisce, senza concedere alcuna dissoluzione liberatrice, perché non è stasi, ma ingorgo.


Ci vuol parecchio, per accettare di non aver mai fatto abbastanza, e che, oltre ad aver il cuore e il fegato di tornare a denudare la ferita e risentirne quindi il morso o la vergogna, occorre quello d'affrontare quel che s'è fatto e non è bastato.


Ripercorrere per l'ennesima volta gli stessi passi, disseppellire quel che abbiamo tentato di negare affondandolo nella carne, e rivederlo, riviverlo affrontandolo di nuovo con la poca Saggezza che abbiamo acquisito, ecco l'unico modo per andare oltre e guarire, forse imparare, ma costa caro.Molto caro, e non a tutti è dato di resistere al sapore del proprio sangue, o all'odore della propria paura.

Ma non c'è scampo, nè scelta, perchè liberarsi è uno strapparsi a tutto, anche alla carne che si porta addosso, qualora diventasse d'intralcio...

12.1.14

Fastidio

Poche, pochissime cose sono in grado di irritarmi quanto il termine "marzialista". Aldilà della sonorità volgare e della mia sempre più acuta intolleranza verso gli -ismi, ogni volta che mi capita la sventura di leggerlo da qualche parte m'appaiono ineluttabilmente un volto paonazzo e sudaticcio, avvitato alla bene e meglio su un corpo inflaccidito, oppure uno smunto, cadaverico eppur famelico, e con gli occhi da serpe. Immagini orride, ne convengo, e del tutto aliene,almeno in teoria, a quel che dovrebbe essere l'immagine d'un praticante d'arti marziali, ma mio malgrado rappresentano una robusta porzione di quelli che si dicono "appassionati", e che mai si lasciano sfuggire l'occasione di discettare sull'argomento. Infatti, la prima cosa a cui penso, leggendo buona parte degli interventi sui social networks, è se gli autori si siano mai presi la briga di allenarsi sul serio almeno un paio di volte nel corso  della loro "carriera"...