20.3.13

Per un uso corretto dei "principi"

Si suol dire che il Neijia Quan differisca dalle altre arti marziali in quanto basato sull'applicazione di determinati "principi" anzichè su un repertorio (più o meno) meditato di tecniche (più o meno) funzionali . Per quanto ciò sia alquanto dozzinale e non del tutto corretto, nell'ambito dei metodi "interni" lo studio dei detti "principi" è indubbiamente preponderante, e sarebbe ben difficile sostenere il contrario.
Sfortunatamente, però, non sono convinto che questo studio sia sempre affrontato nella maniera più adeguata, in particolar modo per quel che riguarda l'approccio psicologico al problema.
Infatti, non di rado capita di sentir chiamare in causa il principio x o il principio agitandoli a mo' di feticcio, spesso a sproposito e quasi mai nel contesto adatto.
E' come se vi fosse  una sorta di feticismo del principio, da cui molti, quasi tutti in buona fede, sono spinti a forzare la propria pratica in modo che si conformi al "principio" in questione, quando magari il corpo, dal canto suo, manifesta tutt'altro, e questo sia per cattiva comprensione razionale del principio stesso, sia per l'insufficienza del livello raggiunto attraverso la pratica.
A mio avviso, un approccio simile, per quanto forse inevitabile all'inizio, a lungo andare rischia di pregiudicare seriamente le potenzialità dello sviluppo effettivo dell'Arte nel singolo praticante: seguire un modello ideale, per quanto adamantino e indiscutibile, non tanto come una linea guida ma come una sorta di "stampo" in cui forzare la propria pratica non può che essere deleterio, specialmente se non segue il naturale processo di crescita del praticante, che non può non essere personale sia nei tempi che nei modi. Con questo non intendo, si badi bene, sostenere che lo studio dei principi sia in qualche modo inutile o deleterio, se mai il contrario: in realtà, vorrei sottolineare che la comprensione corretta (Zheng) del principio si ha quando questo emerge dalla pratica ,e non quando il corpo si muove quasi fosse eterodiretto, come un burattino.
Infatti, quanti praticanti arrivano ad un livello accettabile, ma non riescono a procedere oltre in quanto come ingabbiati da un non meglio precisato rispetto (?) verso una sorta di esoscheletro di "principi" che li fa muovere con la vitalità di uno  zombie, e le loro forme sono gusci, magari perfetti in quanto a stile, ma vuoti, privi di "anima" e di quel Cuore (Xin) che da solo fa la differenza tra un buon artista marziale e un vero Maestro?
Non a caso, per evitare  di cadere in questo tranello, la didattica corretta suggerisce di partire da pratiche di base (Nei Gong e Jiben Gong) attraverso le quali far emergere determinate qualità che altro non sono se non la manifestazione dei vari principi e non una qualche loro più o meno forzata "applicazione". Per fare un esempio, se attraverso la pratica arrivo a fare discretamente bene gli esercizi per la Forza a Spirale, vuol dire che a poco a poco il Chan si Jin si è rivelato nel mio corpo, e in questo modo ho realizzato un principio, non mi sono "forzato" ad applicarlo ai miei movimenti. Anche in questo caso, è spontaneo e quasi inevitabile il richiamo alla forma mentis rurale e contadina, cui è fin troppo noto come la forzatura, qualunque essa sia, tenda fatalmente all'inanità, se non al disastro.
Occorre, quindi, accanto ad una conoscenza cristallina dei principi, da tenere sempre presente come strumento imprescindibile di paragone e di controllo, mantenere un atteggiamento operativo improntato alla  saggezza  e alla percettività,  lasciando che i principi si inverino da soli attraverso la giusta pratica, senza "cercarli" a tutti i costi o tributare loro un "rispetto" eccessivo. In fin dei conti, quelle che nascono dalla pratica delle Arti Interne sono capacità che emergono, o meglio ri-emergono solo quando il praticante è pronto,
e non v'è alcun modo di anticipare o velocizzare il processo se non, appunto, quello di seguire correttamente il metodo: la progressiva realizzazione dei vari principi ci assicura di essere sulla strada giusta , e ci aiuta a scandirne le tappe obbligate.
Tappe obbligate, certo, ma nessuna di esse e'mai fine a se stessa, e dovrebbe essere concepita in senso principalmente strumentale, senza fermarcisi più del dovuto, quindi. Non va mai dimenticato, infatti, che e' sempre in agguato il rischio di perdere di vista l'obiettivo finale, la destinazione di quel Viaggio lungo la Via che decidiamo di iniziare con quel non proprio semplice, ma fondamentale, primo passo che e' il Lavoro Interno.

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