29.1.11

Absit inuria verbis - Ortodossia?

Ho sempre considerato cosa odiosa l'accorgermi di come i bisogni delle persone vengano sfacciatamente sfruttati per vendere merci,  per giunta velandole con una patina di fastidioso buonismo oppure di superiorità del tutto ingiustificata. Che poi tutto questo venga pure spacciato come "crescita" o "trasformazione interiore" è addirittura insopportabile, ma la diffusione ubiquitaria dello schema mi fa dubitare dell'effettiva possibilità di liberarsi di queste dinamiche. In troppe scuole di AMI,per fare un esempio, quando va bene si tende a vendere un metodo, una specie di percorso preconfezionato uguale per tutti. A volte, questo percorso è abbastanza ragionevole, ma più spesso risulta del tutto velleitario,oltre che più legato ad esigenze di marketing che alla didattica o alla coerenza e alla reale funzionalità del metodo. Eppure, pare che la maggior parte delle persone cerchi proprio questo, mostrando ancora una volta il disperato bisogno di "incasellamento" visibile,purtroppo, in tutti i contesti,e che tende invariabilmente a mutarsi in sclerosi e fanatismo. Certo, fanatismo: i metodi divengono ben presto immutabili, divengono ortodossia, ed ogni deviazione o critica diviene subito oggetto di repressione più o meno dissimulata o di isolamento dell'eretico. E chiunque abbia un minimo di esperienza in questi ambienti lo sa bene.
Ad ogni buon conto, cosa comporta tutto questo? Sclerosi,dicevo, e stagnazione,oltre che snaturamento dell'arte e suo progressivo declino, tutto lanciato verso un livellamento per difetto.
Mi si potrebbe obiettare il fatto che un metodo è fondamentale,onde evitare la confusione, le illusioni o il fai da te che non porta a nulla, e io sarei d'accordo.
Pochi si son sforzati quanto il sottoscritto per tirar fuori le AMI  dalla cortina fumogena dell'improvvisazione e del misticismo d'accatto,incitando a praticare secondo ragione e buon senso, per cui la mia riflessione è rivolta  all'atteggiamento verso il metodo,come praticanti e come insegnanti.
Troppe volte ho visto "maestri" continuare ad insegnare, imperterriti, cose che sapevano benissimo essere scorrette, o addirittura "sbagliate", saltando a piè pari persino correzioni patenti da parte di chi ne sapeva di più. Non ci vuole tanto per capire le ragioni di questo, tuttavia mi chiedo: è possibile insegnare correttamente, senza mancare di sincerità nei confronti di noi stessi, dei nostri allievi e soprattutto dell'arte che pratichiamo,la quale, per sua natura, è soggetta al cambiamento?
Per me sì, a patto di ricordare sempre,anche agli allievi, che si sta praticando, appunto, un'arte come la musica, e non una scienza in senso stretto,come la matematica: ma,in fin dei conti,si dirà, la musica è sostanzialmente matematica ...tuttavia,me lo concederete, c'è una bella differenza tra le due!
Dunque, nel rispetto del buonsenso e della biomeccanica,oltre che della teoria dei singoli sistemi,ossia il metodo, conta enormemente l'inclinazione personale,ossia la capacita di "reagire" al metodo rendendolo pratica efficace...applicandolo,in altre parole. Questa, secondo me,è l'unica "fedeltà" possibile ad un metodo appreso, e non la sua ripetizione pedissequa ed immutabile, che con la scusa di conservare finisce inesorabilmente per tradire.

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