18.5.11

Ma è davvero "per tutti"?

Grazie alla maggior parte delle pubblicità dei corsi di Tai Ji Quan son venuto a sapere che si tratta di una disciplina "adatta a tutti", senza distinzioni di sorta. Francamente, la sfumatura di leggero imbonimento con cui è quasi sempre ribadito il concetto mi spinge, e senza faticar troppo, a pensar male, ma anche a far qualche riflessione di principio riguardo alla reale possibilità di una diffusione "indistinta" di una qualsiasi disciplina, sia essa marziale, artistica o quant'altro .
Saltando a piè pari argomentazioni puerili e un po' risibili quali quella del "gusto personale" o l'ovvietà del dare a tutti l'opportunità di dedicarsi alla pratica (ci mancherebbe altro,e  non mi stancherò mai di ribadirlo, checché se ne dica), come pure della sua"fruibilità" da parte di persone impegnate in ben altri settori, bisogna comprendere alcune cose di fondo.
In primo luogo, discipline (quali che siano) stratificatesi nel tempo e in precisi contesti culturali e sociali non posseggono, per propria natura, quella specie di neutralità quasi asettica da cui sono caratterizzate, invece, quelle sbucate fuori in seno alla società contemporanea: il Tai Ji Quan, per esempio, o lo si ama o lo si odia, senza compromessi. E questo in maniera viscerale, istintiva, nel momento preciso in cui se ne coglie lo spirito, e a esso si reagisce. Lì la scelta è già stata fatta, e tutti i tentennamenti, i tira-e-molla e via discorrendo altro non sono che resistenze o le innumerevoli razionalizzazioni che per varie vie ne derivano. Delle scuse, in definitiva.
E già questo basterebbe a ridurre di parecchio la prospettiva che fa vedere la disciplina come "adatta a tutti"...
Se mai, a "tutti" potrebbero essere adatte, al massimo, quelle che giustamente vengono definite "volgarizzazioni" o, per essere più sinceri e al passo coi tempi, le "commercializzazioni". Il che, in ambedue le accezioni, altro non  vuol dire se non semplificazione e interpretazione riduttiva, forse addirittura infedele. Intendiamoci: queste cose hanno il loro perché (far campare gli insegnanti, in primo luogo), ma sono ben lungi dall'identificarsi con la disciplina nella sua interezza. Praticare esclusivamente la forma di Pechino (24) e far qualche esercizio di Qigong per la terza età un paio d'ore alla settimana (e rigorosamente in palestra), non vuol dire affatto, ai miei occhi, "fare Taiji", per quanto si tratti di un legittimo punto di partenza e anche abbastanza "accessibile" nel senso di cui sopra. Però fermarsi a questo, come fanno i vagheggiati milioni di persone dedite al TJQ in giro per il mondo, e pretendere in soprammercato di definirsi autentici "praticanti", si rivela una situazione analoga a quella di colui che, conoscendo a mala pena i tre\quattro accordi sufficienti per "la canzone del sole" o "blowing in the wind"  se ne va in giro vantandosi di saper suonare la chitarra...

1 commento:

francesco.sammarco@gmail.com ha detto...

Quanto è vero amico mio. Troppa gente pensa che sia ginnastica per la terza età. E anche quella se fatta bene non è per tutti.