Parlare di Gongfu ( o Kung Fu, se preferite), è molto facile, dato che lo fanno praticamente tutti, almeno per quanto concerne le disquisizioni astratte o la trattazione più o meno partigiana di questo o quell'altro stile. E' molto più difficile parlare del "proprio" Gongfu, vale a dire di quanto si è compreso ed ottenuto attraverso la pratica individuale, ed ancor più lo è il farlo con la dovuta obiettività e franchezza. Gran parte dei praticanti, e ne ho conosciuti parecchi, tende ad evadere, con maggiore o minore abilità, la questione,preferendo di gran lunga dilungarsi in disquisizioni a volte bizantine sulla teoria degli stili o evocando le gesta di Maestri passati o presenti, come se la cosa potesse in qualche modo influenzare il loro processo di crescita. Processo che va (o dovrebbe andare...) avanti praticamente d'ufficio, quasi che la pura e semplice appartenenza ad una Tradizione fosse garanzia di chissà quali prospettive evolutive...E queste, manco a dirlo, sono le stesse persone dalle quali mi è capitato di sentirmi dire, ogni qualvolta mi saltasse in mente di parlare del Gongfu dall'unico punto di vista secondo cui avrei potuto parlarne con cognizione di causa (il mio),che erano solo opinioni personali, e quindi ininfluenti...
Polemiche a parte, il problema è semplicemente questo: visto che Gongfu indica un'abilità strettamente personale, ottenuta attraverso lo studio e l'applicazione in una o più Arti (quali che siano) e formatasi nel tempo, e non è quindi concetto riferibile esclusivamente alle Arti Marziali cinesi, (peraltro indicate più correttamente col termine Wushu),non è forse fuori luogo l'evitare così tenacemente di considerare la natura fondamentalmente "artistica" e quindi "espressiva"del Gongfu?Ovviamente, mi par perfino superfluo ribadirlo, è indispensabile un approccio assolutamente "scientifico" allo studio delle Arti Marziali, che deve essere oggettivo e, per quanto possibile, filologicamente corretto,ma questo non deve diventare una forma di formalismo sterile o, peggio ancora, di feticismo, se si vogliono, da un lato, garantire la crescita del praticante e ,dall'altro, mantenere viva l'Arte. E' necessario che ogni serio appassionato di Arti Marziali riesca a trovare il modo di trasformarsi attraverso lo o gli stili che pratica, diventando così un vero e proprio Artista Marziale. Ho conosciuto vari Maestri di uno stesso stile rendere la propria pratica assolutamente peculiare rispetto a quella dei "colleghi", senza però tradire lo spirito del metodo, arricchendolo anzi della propria esperienza e ricerca. Credo che uno dei motivi principali per i quali qui in Italia (ma non solo), siano così rari i veri e propri Artisti Marziali sia proprio questo, l'incapacità di vivificare un'Arte che viene appresa in maniera meccanica e, il più delle volte, sterile. Con questo, ad ogni modo,non intendo assolutamente giustificare od incoraggiare gli abusi di quanti "inventano" nuovi metodi scopiazzando qua e là, perchè la fedeltà alla Tradizione ( e le Arti Marziali di ogni parte del mondo sono parte della Tradizione) è fondamentale, sia dal punto di vista pratico( se le cose sono disposte in un certo modo, c'è sempre un perchè) sia da quello ideologico.Ma si tratta di una fedeltà che non deve essere mai cieca, deve anzi avere occhi ed orecchie ben aperte ed un cuore limpido, se si vuole che l'Arte Marziale autentica non si estingua o degeneri in sport o in pratica salutistica.
Polemiche a parte, il problema è semplicemente questo: visto che Gongfu indica un'abilità strettamente personale, ottenuta attraverso lo studio e l'applicazione in una o più Arti (quali che siano) e formatasi nel tempo, e non è quindi concetto riferibile esclusivamente alle Arti Marziali cinesi, (peraltro indicate più correttamente col termine Wushu),non è forse fuori luogo l'evitare così tenacemente di considerare la natura fondamentalmente "artistica" e quindi "espressiva"del Gongfu?Ovviamente, mi par perfino superfluo ribadirlo, è indispensabile un approccio assolutamente "scientifico" allo studio delle Arti Marziali, che deve essere oggettivo e, per quanto possibile, filologicamente corretto,ma questo non deve diventare una forma di formalismo sterile o, peggio ancora, di feticismo, se si vogliono, da un lato, garantire la crescita del praticante e ,dall'altro, mantenere viva l'Arte. E' necessario che ogni serio appassionato di Arti Marziali riesca a trovare il modo di trasformarsi attraverso lo o gli stili che pratica, diventando così un vero e proprio Artista Marziale. Ho conosciuto vari Maestri di uno stesso stile rendere la propria pratica assolutamente peculiare rispetto a quella dei "colleghi", senza però tradire lo spirito del metodo, arricchendolo anzi della propria esperienza e ricerca. Credo che uno dei motivi principali per i quali qui in Italia (ma non solo), siano così rari i veri e propri Artisti Marziali sia proprio questo, l'incapacità di vivificare un'Arte che viene appresa in maniera meccanica e, il più delle volte, sterile. Con questo, ad ogni modo,non intendo assolutamente giustificare od incoraggiare gli abusi di quanti "inventano" nuovi metodi scopiazzando qua e là, perchè la fedeltà alla Tradizione ( e le Arti Marziali di ogni parte del mondo sono parte della Tradizione) è fondamentale, sia dal punto di vista pratico( se le cose sono disposte in un certo modo, c'è sempre un perchè) sia da quello ideologico.Ma si tratta di una fedeltà che non deve essere mai cieca, deve anzi avere occhi ed orecchie ben aperte ed un cuore limpido, se si vuole che l'Arte Marziale autentica non si estingua o degeneri in sport o in pratica salutistica.
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